[ANDRÉ KERTÉSZ, LA VITA E L’ILLUSIONE]

André Kertész nasce a Budapest nel 1894, il 2 luglio, e già da bambino sognava di fare il fotografo. Ce ne siamo occupati due anni addietro, così oggi prenderemo in considerazione aspetti intimi del suo esistere, che poi finiranno anche nelle immagini.

Lui può essere considerato un uomo del ‘900, anche se nasce nel secolo precedente. La sua fotografia non si occupa di grandi temi, ma di frammenti di realtà; e si sviluppa in un’esistenza di alti e bassi, illusioni e disillusioni: vicende che esaltano, per poi demoralizzare, spesso però con un lieto fine. Ciò può dirsi anche per la sua vita sentimentale. Conosce Erzsébet Salamon nel 1919, la donna che diventerà importante nella sua vita; ma non è ancora il tempo, il momento giusto. Arriva il 1925: André lascia l’Ungheria per Parigi dove diventa fotografo professionista. Nella capitale francese conosce Cartier Bresson, Berenice Abbott e tante altre personalità. Incontrerà anche Brassaï e diventerà il suo mentore, avvicinandolo alla fotografia. Gli presterà anche una fotocamera, insegnandogli i primi rudimenti e le tecniche per la ripresa notturna.

Nel primo periodo parigino, mantenne il contatto con Erzsébet, rimasta in Ungheria, attraverso un fitto carteggio, poi, sempre più immerso nel suo lavoro, smette di scriverle. Il 2 ottobre 1928 sposò Rószi Klein. La coppia si separerà due anni dopo e il loro rapporto si concluderà con il divorzio nel 1932. Durante un viaggio in Ungheria, Kertész scoprì che Erzsébet non aveva interrotto la corrispondenza, ma che Rószi aveva intercettato e nascosto le lettere. Si riavvicinarono e nel 1931 Erzsébet lo raggiunse a Parigi, e i due si sposarono infine nel 1933. Una storia a lieto fine.

A Parigi André Kertész conobbe il successo. La sua fama valica l’oceano, così decide di accettare l'offerta di Erney Prince dell'agenzia Keystone, trasferendosi insieme alla moglie Erzsébet a New York, nell'ottobre del 1936. All'epoca voleva rimanere solo per un anno di contratto, ma poi prolungò la permanenza fino al termine dei suoi giorni. Il lavoro alla Keystone durò solo un anno, poi tornò a essere un fotografo freelance. Le sue immagini non erano ben accette nel panorama fotogiornalistico statunitense, il quale richiedeva uno stile più rigoroso e prettamente didascalico. Il gusto degli americani era diverso. Eugene Smith pubblicava delle storie lunghe dieci fotografie. Proponendo il suo lavoro alla rivista LIFE, Kertész ottenne come risposta che "le sue immagini dicono troppo". Un tale rifiuto iniziò a preoccupare il fotografo. Lavora professionalmente e ricerca anche, ma si disillude. Durante la seconda guerra mondiale viene trattato come un nemico: gli fu anche impedito di fotografare in esterni. Sarà una grande mostra al MoMA a riavvicinare Kertész al pubblico statunitense. Un’altra storia a lieto fine.

Alti e bassi, dicevamo; illusioni e disillusioni: la vita di Kertész è stata un po’ questa. Il suo atteggiamento però dimostra tanta sensibilità, che poi ha trasferito nelle fotografie. La moglie lo ha aiutato molto, avendolo capito sin dal primo incontro.

Kertész ha trascorso tutta la sua vita alla ricerca del consenso da parte della critica e del pubblico. Tuttavia i suoi lavori, molto spesso, furono poco apprezzati. La sua arte non si è mai avvicinata ad alcun soggetto politico ed è rimasta legata ai lati più semplici della vita quotidiana, con toni molto intimi e lirici. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e i successivi alla morte segnano un rinnovato interesse verso i suoi scatti, gli stessi che riescono a essere senza tempo.

Kertész ci lascia immagini che prediligono gli attimi, le emozioni passeggere. Foto che vivono nel ricordo e che evocano ricordi: il profilo dei comignoli sullo sfondo del cielo, il gioco dell’ombra di una forchetta in un piatto. Attimi e ricordi, dicevamo: forse la materia prima della fotografia; emozioni che fuggono e ritornano proprio per merito delle immagini. Le stesse che hanno il merito di farci ridere, piangere, meravigliare.

La fotografia. Andre Kertesz, Self portrait #2. Barber Shop Mirror.

André Kertész, Henri Cartier Bresson, Erzsébet Salamon, Barber Shop Mirror, Rószi Klein, Berenice Abbott, 2 luglio 1894