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Marco Glaviano

“La donna come parte della natura, avulsa cioè da qualsiasi contatto “animale”. Mi interessa la “forma”.
MARCO GLAVIANO
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

Marco Glaviano è uno di quei personaggi divenuti leggenda nel mondo fotografico. Un grande maestro che appartiene a quella mitica, e forse irripetibile, generazione di creatori di immagini divenuti vere superstar e che ha costruito il mito delle top model negli anni ‘80 e ‘90. Glaviano è stato anche il primo ad aver realizzato i calendari che celebrarono la bellezza conturbante di supermodelle come Cindy Crawford, Angie Everhart, Paulina Porizkova, Eva Herzigova....

Marco, quando hai iniziato a fotografare? E perché?

A cinque anni. Ricordo che mio Zio, che lavorava nel cinema, mi regalò una Ferrania Ibis. Fu una conquista. Successi- vamente misi le mani su una Leica, ma non comprendevo l’utilizzo di tempi e diaframmi. Andavo in giro a scattare e veniva fuori di tutto.

Oltretutto esercitavo un certo fascino sulle ragazze e questo mi compiaceva. A quei tempi ero un “nerd”, come quei tipi che hanno i pantaloni corti, gli occhiali, e sono bravi a scuola; così la fotocamera mi era d’aiuto. Successivamente iniziò un periodo nel quale accantonai lo scatto, per dedicar- mi a tante altre cose: gli studi in Architettura, la grafica, il teatro, la musica jazz. Ritornai alla fotografia quando dovetti decidere quale strada intraprendere nella vita. Forse sbagliando, optai per il mestiere del fotografo.

Perché credi di aver commesso un errore?

Nonostante il tam tam mediatico che ri- suona attorno all’immagine, la fotografia rimane un’arte minore: non la puoi certo paragonare all’architettura, che risulta maggiormente completa. Diciamo che è stato più facile l’approccio al lavoro, tant’è vero che dopo tre anni già pubblicavo i primi editoriali. In ogni caso iniziai, a ventisette anni. tardi se vuoi, ma con tutto l’entusiasmo necessario.

..la tua formazione?

Vengo da una famiglia di artisti e a casa non si respirava certo un’aria di commercio. Ricordo i nudi di Guttuso e gli artisti che venivano a farci visita. tra l’altro, Gino Severini era un mio prozio. Questo per dirti che il mio habitat era permeato da cultura e creatività. Io stesso ero abbastanza poliedrico.

Hai frequentato un ambiente invidiabile...

Vero. C’erano anche gli amici dello zio: quei paparazzi e tazio Secchiaroli tra questi, che coprivano le mie fotografie di complimenti. Loro rappresentavano la fotografia, almeno in quella Sicilia nella quale abitavo. A proposito, mia madre, quando ho deciso di fare il fotografo, mi ha tolto la parola per otto anni: riteneva la mia scelta socialmente inaccettabile...

L’Architettura ti è stata d’aiuto?

Moltissimo. Guardando le mie fotografie, anche quelle di nudo, ti accorgi che i miei tagli non sono casuali: perché vivono di un’impostazione architettonica.

L’Architettura è anche progetto ...

In effetti i miei scatti non comprendono attimi rubati. Io non vivo con la macchi- na al collo: la porto con me solo quando serve, se debbo finalizzare un progetto. Anche “l’oggetto” fotocamera non fa parte dei miei interessi e forse è per questo che i lavori più importanti li ho scattati con attrezzature normali. Io ho pubblicato su Photo francese come nessun altro professionista. Ogni volta che accadeva, la redazione mi poneva le stesse domande: “Quale coppia tempo/diaframma hai usa- to? Quale pellicola?”. Io rispondevo: “ Non lo ricordo”. Poi replicavo: “Perché? Se i lettori lo dovessero sapere, scatterebbero la medesima fotografia?”. Finiva sempre in rissa...

Hai avuto dei modelli ispiratori?

Avedon: su tutti e da sempre. Quando lo conobbi, fu un’emozione grande. Ne ho amati tanti, comunque, molti dei quali usavano l’aerografo per ritoccare; così riuscii a spiegarmi per quale ragione non riuscissi a ottenere quelle luci.

Avedon su tutti, quindi ....

Anche Newton l’ho amato moltissimo, ma non abbiamo lo stesso punto di vista. Mi diceva: “Sei l’unico che non mi copia”, ma in alcune mie immagini c’è un po’ del suo stile. Lui comunque non amava le donne, io sì. Le ritraeva in situazioni ambigue, ma gli va dato merito di aver generato un C’è un preconcetto tra gli artisti verso i fotografi, soprattutto nei confronti di coloro che hanno avuto successo. Occorrerebbe operare dei distinguo: c’è chi arriva al riconoscimento dopo una lunga carriera ed altri che si affacciano “all’arte fotografica” senza la minima esperienza. Se penso che al MoMA di New york molte foto dei grandi sono state regalate, c’è da rabbrividire.

È nell’armonia il fattore legante?

C’è quella connessione che lega tutte le cose belle. Io qualche anno addietro ho esposto alcune mie immagini a Perugia, in una mostra che si chiamava “Form & Music”. Ho mostrato un musicista e una modella nella stessa cornice. Del resto, ti sembrerà banale, ma la musica per i fotografi è una costante dei loro studi, soprattutto durante gli shooting. Alle volte mi piacerebbe poter parlare con la model- la, senza dover urlare. Comunque è vero, c’è movimento nelle foto ed è quasi una forma di danza. Oggi, infatti, gli scatti più importanti li ottengo con le ballerine.

Qual è la qualità più importante per un fotografo?

Non te lo so dire, anche perché trovo che fotografare sia facilissimo. Faccio fatica a coglierne il valore aggiunto: vedi una cosa bella e la ritrai.

Non stai semplificando troppo?

Ripeto: non capisco. trovo comunque cambiamento forte.

La donna per te è importante?

Come parte della natura, avulsa cioè da qualsiasi contatto “animale”. Mi interessa la “forma”.

Com’è la “donna” di Glaviano?

Una donna che sembri tale. Il mio relativo ritiro da mondo del fashion è coinciso con l’arrivo delle “anoressiche”. Non riuscivo a ritrarle ed era una continua lite. Ho an- che rotto un contratto con Herper’s Bazar, perché non volevo “scattare” Kate Moss. Il direttore si offese molto.

I tuoi nudi sembrano così spontanei e naturali ...

Perché lo sono e anche le modelle. La stessa naturalezza la puoi trovare anche quando fotografo la moda, perché il vestito è bello se disegna la donna ed il suo corpo.

Come ti definiresti?

Io fotografo moltissime cose: moda, jazz, architettura, ritratti. Sono conosciuto per i nudi, perché il tema è affascinante ma tra una donna vestita male e un’altra nuda preferisco la seconda. Del resto la moda come arte è una posizione non difendibile, perché fatta per vendere. Ci sono stati dei casi eclatanti, ad esempio Avedon, o Penn. Ma erano bravi e nell’arco di una carriera lunga cinquant’anni si possono trovare due o tre foto che vale la pena conservare.

Uomo dai molti talenti, Marco Glaviano ha iniziato il suo percorso artistico con una laurea in architettura e avrebbe potuto facilmente avere successo non solo come architetto ma anche come musicista jazz o scenografo. Invece ha scelto la fotografia. Dal 1967 le sue fotografie danno lustro alle principali riviste di moda di tutto il mondo. Dal 1975 vive tra Milano e New york da dove, con le sue immagini, parla a tutto il mondo di moda e bellezza.

Fotografia e arte: è un tema sempre aperto ...

C’è un preconcetto tra gli artisti verso i fotografi, soprattutto nei confronti di coloro che hanno avuto successo. Occorrerebbe operare dei distinguo: c’è chi arriva al ri- conoscimento dopo una lunga carriera ed altri che si affacciano “all’arte fotografica” senza la minima esperienza. Se penso che al MoMA di New york molte foto dei gran- di sono state regalate, c’è da rabbrividire.

È nell’armonia il fattore legante?

C’è quella connessione che lega tutte le cose belle. Io qualche anno addietro ho esposto alcune mie immagini a Perugia, in una mostra che si chiamava “Form & Music”. Ho mostrato un musicista e una modella nella stessa cornice. Del resto, ti sembrerà banale, ma la musica per i fotografi è una costante dei loro studi, so- prattutto durante gli shooting. Alle volte mi piacerebbe poter parlare con la model- la, senza dover urlare. Comunque è vero, c’è movimento nelle foto ed è quasi una forma di danza. Oggi, infatti, gli scatti più importanti li ottengo con le ballerine.

Qual è la qualità più importante per un fotografo?

Non te lo so dire, anche perché trovo che fotografare sia facilissimo. Faccio fatica a coglierne il valore aggiunto: vedi una cosa bella e la ritrai.

Non stai semplificando troppo?

Ripeto: non capisco. trovo comunque quasi offensivo che le immagini più cele- brate siano quelle che riguardano morti o tragedie. Noi chi siamo?

Occorre cultura per essere un bravo fotografo? Sì, ci deve essere; anche se alcuni colleghi bravissimi, peraltro pare dimostrino il contrario. Questo succede in quasi tutte le “arti”: per dipingere un quadro ad olio devi studiare; anche se poi fotografare è più facile. Alle volte ho considerato la fotografia come una sorta di rifugio e qui trovo un’analogia stringente con la musica: chi ha cultura si avvicina al pianoforte; il sax è più accessibile.

Ora la foto è accettata come arte...

Sì, sta accadendo questo. C’è voluto del tempo, ma ne ho scoperto anche le ragioni. L’arte, quella moderna, è implosa perché passata di mano: dagli artisti ai mercanti.

La Sicilia ti ha influenzato?

La terra d’origine ci condiziona per forza. La Sicilia ha dei colori violenti, saturati per dirla fotograficamente. Poi, tutta la società dell’isola è eccessiva, dal caratte- re particolare. Hai fotografato le donne più belle del mondo: te ne rendi conto? Eccome. Ne ho anche sposate un paio... e sto ancora pagando i conti.

Si parlava di top model: hai qualche aneddoto curioso?

Apparivano tutte strane, ma anche molto intelligenti. Cindy Crawford è una donna “under control”, decideva tutto lei. Paulina Porizkova se ne andava a metà dello sho- oting, dicendo: “C’è la foto, inutile perdere tempo”... e aveva sempre ragione. Anche Carla era simpatica. tutte le top erano ambiziose.

Vivevate in un mondo particolare ...

Si volava in Concorde, si lavorava allo Studio 54 arrivando in limousine: cose stu pende che adesso non farei più. tutto era isolato dal mondo, ma questa “comunità” oggi non esiste più. Forse mancano anche i fotografi, perché un tempo si discuteva di fotografia come i pittori facevano per la loro arte. Oggi si scattano quattro foto e ci si lascia. La foto di moda, negli anni, ha vissuto di un crescendo continuo: da Horst, passando per David Bailey che ha inventato il fondo bianco. Questo percor- so si è arrestato alla fine degli anni ‘90, quando il commerciale ha preso il soprav- vento. Chi guidava la moda era il giornale di settore, che magari poteva permettersi di pubblicare un servizio su dei Jeans co- stosissimi, indossati con degli stivali di gomma da pochi dollari. Oggi, nell’era dei ragionieri, questo sarebbe impossibile.

Arriviamo alla tecnica: mi sembra di intuire delle focali lunghe...

Ho usato un po’ tutte le ottiche, dai gran- dangoli ai tele: soprattutto agli estremi: il 16 mm o il 300 mm. Le diverse situazioni richiedono punti di vista differenti e io sono un estremista. Possiedo uno zoom Canon 16-35 f/2,8. Credo di averlo usato sempre a 16 mm. Dopo una carriera così splendida, c’è un progetto rimasto indietro?

I ritratti di Jazz. Parliamo di un lavoro rimasto incompiuto. Volevo farne un libro. Oggi sto riprendendo quel progetto, ma i grandi non ci sono più. tutto era inizia- to negli anni ‘70, ma ho trovato sempre grandi difficoltà nel fare accettare l’idea agli editori. Tu hai pubblicato la prima immagine digitale...

È vero. Avevo sentito parlare di queste nuove tecnologie dal marito di Paulina Porizkova e ne rimasi affascinato. Ho pro- posto lo scatto al quale ti riferisci a Vogue America. Avevo passato giorni interi di fronte al computer e tutti rimasero sor- presi dal risultato. Con una visione futu- ristica mi resi subito conto del potenziale dell’immagine digitale.

La tua è una tendenza al cambia- mento?

Vedi, non ho paura di morire: perché in un certo senso mi sono “rotto”. Però provo dispiacere nel vedere quello che sarà, perché per il domani intuisco cose fantastiche...

Eppure il digitale è stato accolto con meraviglia, ma non da tutti ... L’atteggiamento della comunità fotografi- ca alle volte mi sorprende. Dicono che col digitale non vi sia “profondità”. In cento anni di pellicola le case produttrici hanno combattuto la grana, anche se alle volte la cercavamo per questioni creative. Oggi abbiamo uno strumento che la elimina, e cosa succede? tutti contro! Incredibile.

Il cambiamento spaventa ...

Forse. E poi si ha paura ad affidarsi a terzi, ma è anche vero che molti fotografi non hanno vissuto in camera oscura. Io, che l’ho fatto, oggi curo la post produzione da solo. Ho migrato i processi dallo sviluppo e stampa al Computer, in un’evoluzione positiva; non li ho delegati ad altri. Se lasci la tua foto ad altri, non è più la tua.

Cindy, Paulina, le altre: vi sentite ancora?

È rimasta una grande amicizia. Paulina è venuta in Italia in occasione delle mie mostre. Oggi ha quattro figli. Io ho sem- pre difeso quelle ragazze. Il loro mondo non era semplice: l’abuso verbale era frequente e spesso venivano trattate come oggetti. Tu sei il fotografo italiano che più ha lavorato all’estero ...

Io non so se sono italiano. Mi sento vi- ceversa molto anglosassone. Negli Usa sono più tecnici, meno improvvisati, più organizzati. Là contano anche i dettagli: il “per caso” non è parte della loro mentalità. Io sono un siciliano cresciuto pro- fessionalmente negli Stati Uniti che vive a New york.

Se potessi farti un augurio, cosa ti diresti?

Difficile. Spero di poter lavorare fino alla fine, come hanno fatto i miei maestri Avedon e Newton. Naturalmente conto di farlo a un buon livello. Loro non hanno ceduto niente, producendo fino all’ultimo cose straordinarie. Del resto, fotografare non è come andare in miniera... lo si può fare anche con qualche acciacco



Buona fotografia a tutti

Marco Glaviano

Marco Glaviano E` nato a Palermo nel 1942.

Durante i suoi studi di architettura all’università di Palermo sviluppa un forte interesse per la fotografia, essendo nello stesso tempo impegnato come scenografo in teatro.

Nello stesso periodo suona il vibrafono in un gruppo Jazz partecipando a diversi festival internazionali, dove per la prima volta comincia a fotografare gli amici jazzisti.

Nel 1967 decide di dedicarsi esclusivamente alla fotografia e si trasferisce brevemente a Roma, poi a Milano dove apre uno studio e fonda con l’amico clarinettista Tony Scott il “Capolinea”, storico jazz club milanese.

Il suo lavoro appare nelle principali pubblicazioni di moda europee e nel 1975 decide di spostare la sua residenza a New York, dove per 35 anni continua a collaborare con le riviste di moda più prestigiose con la realizzazione di oltre 500 copertine, soprattutto per American Vogue e Harper’s Bazaar e realizzando campagne pubblicitarie di moda e bellezza, per L’Oreal, Revlon, Calvin Klein, Valentino, Giorgio Armani, Roberto Cavalli e molti altri.

Negli anni ottanta, con il fondatore di Elite, John Casablancas, la allora presidente di Elite Monique Pillard e Patrick Demarchelier contribuisce ad inventare il fenomeno delle Supermodels e realizza i famosi calendari di Paulina Porizkova, Cindy Crawford ed Eva Herzigova.

Nel 1995 idea e disegna “Pier 59 Studio” a New York, riconosciuto come lo studio fotografico più importante al mondo.

Il suo precoce interesse per la fotografia digitale lo porta a pubblicare la prima foto di moda digitale su American Vogue nel 1982. In quel periodo Marco è stato consulente della Kodak, Fuji, Hasselblad, Phase One, Sinar e Scitex, durante la transizione da film a digitale.

Intorno al 1995, scoraggiato dall’aspetto del nuovo ideale di bellezza femminile da 40 chili, abbandona la moda e si dedica alle sue fotografie personali ed alla pubblicazione di libri.

Ha pubblicato 14 libri di fotografia in parte dedicati alle più famose modelle dagli anni ’70 in poi.

Nell’autunno del 2006 pubblica “Il sesto senso” il primo libro dedicato esclusivamente al paesaggio, di cui il libro su Palermo è la logica continuazione.

Nel 2009 pubblica due libri di grande formato in una edizione limitata a 100 copie di ritratti dei grandi del Jazz, a cui Marco lavora dal 1972, e delle più importanti modelle degli anni ottanta.

Nel 2001 fonda a Milano,“Milanostudio”, lo studio di fotografia digitale tecnologicamente più avanzato esistente oggi. Marco ha avuto più di venti mostre personali a New York, Los Angeles, San Francisco, Miami, Milano, St.Barth, Palermo e Capri. La sua prima personale (disegni) è stata a Palermo nel 1948 all’età di 6 anni.

Le sue opere si trovano in numerose collezioni negli Stati Uniti, America Latina ed Europa.

Marco vive e lavora fra New York e Milano, con la discreta presenza al suo fianco della sorella Adriana e con le figlie Barbara, Alessia ed Adrianna. Da qui ama fare frequenti puntate nella sua amata città Palermo..