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Carlo Mari

tratto da: ImageMag anno VIII #2
Vorrei raccontare per immagini la mia spiritualità. Ho creato una serie d’immagini dove parlo dei miei stati d’animo.
Carlo Mari
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

Abbiamo parlato più volte con Carlo Mari, al telefono e di persona. Siamo anche andati a trovarlo presso il suo studio. Le domande, alle quali Carlo rispondeva con calma e precisione, non bastavano mai a esaudire la nostra curiosità: c’era sempre dell’altro da conoscere, afferrare, comprendere. Il “fotografo Mari” sfuggiva di continuo alla nostra lettura fotografica, alla sintassi d’osservazione. Di fronte a noi si parava un muro d’immagini straordinarie, differenti tra loro, auto contaminate addirittura: il mare da un lato, l’Africa dall’altro; in mezzo volti, ritratti, donne, sensualità. C’è voluto tempo per capire, sempre per mano al “Mari fotografo”: ora amico, altre volte insegnante, spesso anche maestro di vita. Lui è un narratore per immagini e le sue storie trovano respiro dove lo spazio si allarga: in fondo al mare, nelle savane della Tanzania, persino tra le spire della seduzione e dell’eros. Lì il racconto si accende tra tagli e dettagli, per diventare velo, coltre d’istinti che si esaltano, seduzione.

Per i ritratti è un po’ la stessa cosa: l’incontro col soggetto diventa già una storia, perché Carlo non chiede nulla in più di quanto non sappia di poter esigere, con delicatezza. Non meravigliano, a questo punto i suoi inizi giovanili: prima da stampatore, dopo come fotografo. È sulla carta che il racconto prende vita, tanto valeva leggerne di altri autori, con la curiosità di chi, vista l’età, divora tutto con domande semplici.

Siamo ancora nello studio di Carlo. Guardiamo una volta di più le immagini appoggiate qua e là. Abbiamo sfogliato alcuni suoi libri. Lui, in silenzio, lavora, controlla, scruta, cerca. È forte di una consapevolezza antica, maturata nel tempo: tra i flutti o gli orizzonti della savana. Nel film “La mia Africa” Karen Blixen dice: “Forse lui sapeva, al contrario di me, che la terra è stata fatta rotonda perché non potessimo guardare lontano”. E spesso è proprio all’orizzonte che finiscono o iniziano le storie, come i sogni del resto, o le stesse aspirazioni. Carlo Mari riesce a guardare oltre, al di là dell’ultimo spicchio di luce della giornata. Come il suo animale preferito, il Leopardo, scruta il tempo dal ramo di un albero e i suoi racconti si fondono in un’unica eterna storia: di gente, luoghi, mari, fotografia.

Carlo, quando hai iniziato a fotografare e perché?

Da bambino. Devo dire che ho imparato prima a stampare, nella Camera Oscura di un amico. Ricordo le fidanzate dei ragazzi più grandi di me, nude; apparivano lentamente, poi si fissavano sulla carta in maniera definitiva. Fu una folgorazione. Compresi che dovevo anche scattare. Arrivarono così le foto subacquee (me ne sono occupato per dodici anni) e prima ancora quelle adolescenziali, in Africa. La famiglia risultò importante: fu mio fratello ad avvicinarmi al sub, mentre i viaggi di lavoro di mio padre costituirono un’ottima occasione per dare sfogo a quella che ormai era diventata una passione. A lui devo anche i primi scatti in assoluto: gli rubai la Leica SL e per un intero fine settimana ritrassi la fidanzata dell’epoca.

Tuo padre non gradiva il fatto che tu diventassi fotografo, dico male?

Sì, ma io scappai in Argentina da mia zia. Avevo diciotto anni.

La tua è stata passione per la fotografia?

Sì, e mi anima ancora oggi. Da trentacinque anni vivo di fotografia.

La passione è risultata importante?

Definirmi naturalista, pur avendo ritratto molto spesso la natura. È solo una questione di emozioni. Il racconto può essere considerato il filo rosso che lega i tanti generi da te frequentati? Molto probabilmente sì: sono un narratore per immagini; e qui ci colleghiamo a quanto abbiamo detto circa la semplicità. Per raccontare occorre utilizzare un linguaggio facilmente fruibile.

La tua carriera si compone della pubblicazione di tanti libri...

L’ultimo, Passage through DAR, è il tredicesimo...

Qual è il tuo rapporto con le pubblicazioni?

Amo produrre libri e spesso li curo sin dall’impaginazione. Per me rappresentano l’elemento essenziale del racconto, il contenitore che può racchiuderlo. Del resto, a monte c’è sempre un progetto, un’idea da perseguire, il che aumenta la soddisfazione.

C’è, tra i tuoi, un libro che ami particolarmente?

Tutti hanno narrato una storia e dei sentimenti, per cui da questo punto di vista non c’è differenza. La Grande Migrazione è quello che mi ha restituito la maggiore soddisfazione, perché ha consacrato il mio lavoro, peraltro in ambito internazionale.

Parliamo dell’ultimo, allora, Passage through DAR...

Siamo in Tanzania, nel mercato del pesce di Dar Es Saalam. Si tratta di un luogo fantastico, frequentato ogni giorno da ventimila persone. Il libro si compone di ritratti, tutti in bianco nero, dove pescatori e gente comune posano con la preda del giorno. La loro vita è lì, dove vengono soddisfatte esigenze e aspettative di vita, in una storia che si ripete nella quotidianità.

Nel suo libro (la Mia Africa) a un certo punto Karen Blixen dice: “L’Africa non è mai stata mia e io non sono stata dell’Africa”. La Tanzania è un po’ la “Tua” Africa, dico male?

Sì, l’est del continente, il regno dei grandi animali e del leopardo, al quale mi sento molto vicino.

Tra le tue, c’è una fotografia preferita? Quella che più ti sta a cuore?

Me lo chiedono spesso. Ero con mio padre in Africa e ho ritratto degli elefanti. Si tratta di un’immagine che ha riscosso un certo successo, il che mi ha restituito motivazione per la carriera.

Un po’ di tecnica, c’è un’ottica che usi preferenzialmente?

In studio 50 e 85 mm. Non utilizzo zoom.

B/N o colore?

Dipende dal soggetto: non ho preferenze. La luce è importante.

Curi da solo la post produzione?

Senza di essa non sarei riuscito ad andare avanti. Si è trattato di un ingrediente primario, vissuto anche in relazione alle macchine fotografiche, arrivate pian piano.

Tu hai iniziato con la pellicola? Qualche rimpianto?

È ovvio. Ho usato anche il medio e grande formato (con una Linhof 10X12), perché gli editori me li chiedevano. Rimpianti? Nessuno. Anche il digitale ha contribuito alla mia passione. Possiedo un archivio importante, di 280.000 scatti tra negativi e positivi. Sto scansionando tutto.

Hai avuto degli elementi ispiratori?

Le luci di Avedon e Penn, ma poi anche i lavori di Jeanloup Sieff e Fulvio Roiter.

Il tuo autore preferito in assoluto?

Avedon.

C’è stato un incontro con qualcuno che si rivelato importante per la tua crescita?

Sì, quello con Giovanni Gastel. Mi ha trasmesso la sua semplicità nel riprendere senza troppo preoccuparsi della tecnica pura.

Come hai curato la tua formazione?

All’inizio mi sono iscritto a diverse scuole di fotografia (anche presso lo IED), frequentate però a rilento. Ho poi iniziato a studiare tanto, particolarmente sui libri dei grandi. Ho cercato anche di affinare il gusto estetico per le cose e mi accorgevo che questo mi veniva quasi d’istinto. Lo spaziare in tanti generi mi ha fatto crescere tantissimo. Mescolare le esperienze ha restituito semplicità alla mia tecnica: una dote importantissima per il mio mestiere.

Già, tu hai frequentato un po’ tutti i generi, perché secondo te?

Non lo so, forse mi ha aiutato la semplicità con la quale ho sempre affrontato la fotografia o anche il bisogno adrenalinico di scattare. Spesso è anche il committente a sceglierti, per cui è lui a riconoscerti valido per quel determinato argomento. Di certo, meglio fare tante cose che non affrontarne nessuna.

Rimane il fatto che è singolare, nella tua carriera, riconoscere successi importanti in ambiti che singolarmente hanno costituito la storia di tanti grandi: ritratto, nudo, moda e altro ancora...

Me ne rendo conto, ma non provo la stranezza che tu dici. La tua fotografia puoi donarla a vari soggetti: occorre un po’ di propensione. Il ritratto, ad esempio, l’ho affrontato in Maserati, fotografando persino tutti gli addetti alla catena di montaggio. Si tratta di un ambito vicino al genere industriale, eppure ho prodotto quaranta scatti in B/N: dall’AD, fino all’ultimo dei mulettisti.

C’è forse in te il desiderio di fuggire dall’omologazione, contaminandoti?

Non so: forse Africa e mare rappresentano una fuga da qualcosa, probabilmente per cercare l’origine del mondo. Non ho mai sofferto il Mal d’Africa, però; e neanche posso Scatto in RAW e apro personalmente i file con Camera RAW. La gestione successiva posso affidarla a miei stretti collaboratori, sotto la mia direzione.

Dopo tanti anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro e che vorresti portare a termine?

Vorrei raccontare per immagini la mia spiritualità. Ho creato una serie d’immagini dove parlo dei miei stati d’animo.

Potessi dedicarti un augurio fotografico, cosa ti diresti?

Vorrei poter disporre sempre della forza per andare avanti. Mi sto divertendo.



Buona fotografia a tutti

Carlo Mari

Carlo Mari è fotografo di reportage e pubblicità. Ha girato il mondo sopra e sotto i mari, con la macchina fotografica al collo per raccontare. Tra gli anni ‘80 e ‘90 ha pubblicato servizi e copertine sulle più prestigiose riviste di mare italiane ed estere. In seguito e per molto tempo ha documentato la vita selvaggia dell'Est Africa ed è stato un inviato della “The Harvill Press” di Londra. Da questa collaborazione sono nati due importanti volumi: “The Great Migration” e “Pink Africa”.

In Africa, ora vive diversi mesi all’anno a stretto contatto con la natura incontaminata e le popolazioni tribali. Ritrattista, da anni documenta la bellezza - non solo esteriore - di molte popolazioni a rischio di estinzione. Carlo Mari ha al suo attivo molti libri fotografici pubblicati in tutto il mondo, alcuni riguardanti la vita dei fondali marini, altri l’Est Africa, tra Kenya e Tanzania, altri ancora il nudo artistico e il glamour pubblicitario, come “Animal Man” pubblicato a Parigi da “Edition de La Martinière” nel 2000.

“My Africa”, una delle sue più importanti creazioni, è entrata a far parte della lista dei best-sellers fotografici nel 2004 in Germania. Con la “Leonardo International“ ha realizzato nel 2009 un libro su Papa Benedetto XVI in visita all'Abbazia di Montecassino. I cultori lo conoscono per le sue ricercate stampe Fine Art a tiratura limitatissima, presenti in molte collezioni private di tutto il mondo. Negli ultimi tre anni il richiamo del mare è stato talmente forte da riportarlo alla ricerca di sensazioni antiche. Mare e Africa questi gli ingredienti per cui si sta dedicando al racconto della vita, delle tecniche di pesca e delle tradizioni dei pescatori dell'Est Africa.