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[ADOLF DE MEYER, IL PRIMO FOTOGRAFO DI VOGUE]

Oggi incontreremo un personaggio particolare, sicuramente originale. La sua storia di vita è da assaporarsi a fondo, per i tanti risvolti che nasconde, alcuni addirittura oscuri, a iniziare dalle sue origini. Adolf de Meyer nasce (si dice) a Parigi il 3 settembre 1868 (padre tedesco e madre scozzese), ma i fatti della sua prima infanzia sono stati oscurati da resoconti contraddittori provenienti da varie fonti, incluso lui stesso. E’ nato a Parigi o in Germania? Già questa domanda dice molto.

Il barone Adolf de Meyer ha trascorso la sua infanzia sia in Francia, che in Germania; ed è entrato nella comunità fotografica internazionale nel 1894-1895. Si trasferisce a Londra nel 1896, dove nel 1899 le sue fotografie gli fanno guadagnare l'appartenenza al Linked Ring, una società di fotografi pittorialisti in Gran Bretagna. Intorno al 1900 assume il titolo di Barone.

La moglie di de Meyer, Olga, una Caracciolo al secondo matrimonio, sosteneva di essere la figlia illegittima del Principe di Galles (in seguito Edoardo VII), anche se i suoi atti di nascita affermavano che fosse nata per merito di un nobile napoletano. Adolf e consorte formavano una coppia di convenienza: lui era omosessuale, lei bisessuale. Insieme costituivano una piccola impresa socio-artistica. E’ una coppia alla moda, la loro; che gode della protezione reale (quella di Edoardo VII). Legati da una straordinaria complicità, fortificata dall’incompatibilità sessuale, i De Meyer diventano il punto di riferimento di un ambiente colto, esuberante, e molto ricco. Organizzano concerti, feste, serate culturali. Olga è al centro di questi rituali, che gestisce con raffinatezza, lanciando tendenze, ispirando romanzi e dipinti.

Nel 1903, de Meyer contattò Alfred Stieglitz e si associò alla Photo-Secession. Pubblicherà così le sue fotografie sulla rivista «Camera Work», esponendo nel 1907 e nel 1912 nella galleria newyorkese, la Little Galleries of the Photo-Secession, detta 291. Adolf ha viaggiato negli Stati Uniti nel 1912; fu assunto come primo fotografo a tempo pieno di Vogue nel 1914, e fotografò celebrità fino al 1921, quando accettò una posizione all'Harper's Bazaar, che gli permise di tornare a Parigi. Sebbene de Meyer avesse stabilito uno standard per l'eleganza e lo stile, le sue fotografie di moda ispirate ai pittorialisti furono viste come antiquate in quegli anni '30, così fu costretto a lasciare Harper's Bazaar nel 1932. I disordini in Europa, e la guerra imminente, lo riportarono negli Stati Uniti nel 1939, e trascorse i suoi ultimi anni a Hollywood, dove morì, praticamente sconosciuto e non apprezzato, nel 1946. La sua Olga era deceduta nel 1931, in Germania.

De Meyer è stato il fotografo preminente di Vaslav Nijinsky e dei Ballets Russes, e un pioniere dedicato e abile nell'uso del processo autochrome della fotografia a colori. Maestro della fotografia di moda e della ritrattistica mondana, ha raccontato un mondo elegante e rilassato che è svanito con la seconda guerra mondiale. Le sue fotografie sofisticate, anche se al tempo sottovalutate, sono diventate modelli per molti fotografi di moda contemporanei.

Chi era allora de Meyer? Certamente non solo un protetto di corte, ma anche un magico fotografo di ritratti, così dotato che Cecil Beaton lo soprannominò "il Debussy della fotografia". Dove una volta la fotografia di moda era rigida e goffa, ha introdotto opere sognanti e splendidamente illuminate, per adulare meglio i suoi clienti.

E la moglie di Adolf? Ecco un altro personaggio misterioso. Al di là dei gusti sessuali, che l’hanno resa partecipe di intrecciate relazioni amorose (sempre per convenienza, è ovvio), era campionessa di scherma, musa, modella per artisti e, non ultimo, autrice. Insieme al marito ha viaggiato in Europa, America, persino in Oriente, raggiungendo sempre una serenità nobiliare ricca e consistente. Alla fine restano le immagini del coniuge: raffinate e luminose. Ci dimenticheremo degli incontri della coppia, forse anche delle loro vicende vissute. Le fotografie no: rimangono lì a testimoniare un tempo vissuto, con anche il mistero che ci hanno lasciato in eredità.

Adolf de Meyer, 3 settembre 1868 , Alfred Stieglitz