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PRIMA TRASMISSIONE TELEVISIVA

26 aprile 1931. A New York, si effettua la prima trasmissione televisiva sperimentale. La prima presentatrice è la famosa attrice Fay Marbe. Inizia così il cammino commerciale di uno strumento di comunicazione che avrebbe cambiato la società.

Le prime trasmissioni della televisione in Italia iniziano il 3 gennaio 1954, dagli studi RAI di Torino. Gli utenti agli inizi erano pochi (24.000 abbonati nel 1954), ma sarebbero cresciuti di lì a breve: saranno 6 milioni nel 1965. La "prima" televisione italiana si configura come uno strumento d’informazione e d’educazione.
La pubblicità compare nel 1957, contenuta in un contenitore chiamato "Carosello", alla fine del quale i bambini sarebbero andati a letto; verrà soppresso, con l’ultima puntata, il primo gennaio del 1977.

La televisione, storicamente, ha avuto un ruolo importante, oltre a quello che crediamo di prcepire. Con essa, la lingua italiana si sarebbe unificata ulteriormente, accelerando un processo iniziato con la prima guerra mondiale. Del resto, sempre la TV, all’inizio si presenta come uno strumento aggregante, andando ad abitare addirittura le sale cinematografiche quando trasmetteva programmi di grido. “Lascia e raddoppia” ne è un esempio eloquente: l’Italia tutta ne era catalizzata, anche perché si trattava di una novità assoluta, e solo televisiva.
Col tempo, il “tubo catodico col mobile intorno” ha occupato tutti gli spazi “sociali” disponibili e anche più di una stanza domestica. Si è anche ipotizzato fungesse da elemento disgregante della famiglia, e forse è stato così. Diciamo che la TV sempre accesa quasi rappresenta, oggi, un elemento di degrado, e su questo bisognerebbe riflettere.

Sarebbe bello analizzare come, nel tempo, la televisione si sia inserita nell’arredamento domestico: prima su un carrellino specifico, poi incastonata nella libreria, oggi vicino ai più comuni trasduttori sonori. Diciamo che, negli anni, ha saputo evolversi, addirittura andando a braccetto con il WEB, come ci dice la storia recente.

C’è stato un momento storico nel quale la televisione domestica fungeva da trasduttore di contenuti privati. Era il periodo delle cassette, diventate poi DVD. Ora quel mondo è scomparso: tutto abita nell’etere, a pagamento; magari replicato sul WEB, perché anche il TV è diventato “smart”. Come andrà a finire?

Le scelte fotografiche

Circa le scelte d’illustrazione, abbiamo preferito cercare delle fotografie nelle quali l’apparecchio televisivo facesse parte del contesto, tralasciando così gli aspetti sociali, comunque intuibili.

Come prima immagine, abbiamo scelto uno scatto di D’Alessandro (già proposta altre volte), dove dietro la bambina campeggia tutta la proposta del boom economico. Lo sguardo di lei è rivolto in avanti, quasi a lasciarsi alle spalle l’incertezza che gli anni ’60 sarebbero stati capaci di generare. Si tratta di un’interpretazione personale, ma tant’è: quella fotografia è ricca di una tenerezza tutta sua, che apprezziamo molto.
La seconda immagine porta la firma di Helmut Newton e risulta essere originale, almeno per come noi percepiamo il fotografo nato a Berlino. C’è tanto movimento in ciò che vediamo, con un gatto che vola; il che ci riporta alla mente uno scatto di Philipp Halsmann, quello che ritrae Salvador Dalì. Si tratta di un’elucubrazione personale. Chiediamo scusa.

Il fotografo Luciano D’Alessandro

Luciano D’Alessandro nasce a Napoli il 19 marzo 1933. Parlare della sua vita è affascinante, tanto quanto le fotografie che ci ha lasciato. Il nostro racconto si sviluppa in maniera centrifuga, visto che abbiamo iniziato a conoscerlo con il lavoro “Dentro le Case”, condotto con Gianni Berengo Gardin e diventato libro (Electa Editore, 1978). I due autori si divisero l’Italia lungo l’asse nord sud ed entrarono nelle abitazioni degli italiani, regalando un’indagine sociale approfondita, dai forti contrasti. Ne è emerso un atto d’amore che i nostri concittadini nutrivano (e nutrono) per le loro case. L’affetto si reggeva su segnali deboli, minimi, vulnerabili; quasi che non potesse essere possibile un possesso “totale” della dimora.

Il fotografo ligure e quello napoletano si ripeteranno con “Dentro il Lavoro” (un altro libro) dove si sfogliano uomini e mestieri, accomunati da quella diversità di mansione (scusate il paradosso) che però poggia sulla dignità personale; quasi che l’occupazione lavorativa potesse essere letta come una missione specifica dell’essere umano.

A leggere la biografia di D’Alessandro, quasi s’intuisce uno spirito inquieto, forse arrabbiato. Studia Medicina, ma presto lascia la Facoltà per dedicarsi alla musica (suona la chitarra, e anche bene, con Roberto Murolo). Sarà il padre ad avvicinarlo alla fotografia, perché anche lui appassionato; che tra l’altro lo introdurrà nello studio di Paolo Ricci, al Vomero, riferimento culturale per molti artisti, tra cui Pablo Neruda.

Nel 1952, la svolta: Luciano diventa professionista e inizia a realizzare reportage giornalistici per le principali testate nazionali e internazionali. Nel 1955 si reca per la prima volta a Parigi, e là incontra Jean Paul Sartre.
Negli anni successivi, i suoi lavori saranno pubblicati sull’Unità e poi sul Mondo di Mario Pannunzio. Nel 1965, l’incontro con lo psichiatra Sergio Piro gli aprirà le porte del manicomio Materdomini di Nocera Superiore. Ne nascerà un’indagine durata tre anni, culminata in un documentario trasmesso dalla RAI.

La vita di D’Alessandro diventa sempre più vorticosa. Si era sposato con Anacapri Maria Laura Farace (dal matrimonio nasceranno due figli), ma si separerà nel 1978. Nel frattempo aveva collaborato, per un decennio, col settimanale l’Espresso. Nel 1979 lo troviamo a Milano nella redazione dell’Occhio (gruppo Rizzoli Corriere della Sera), ma l’atmosfera del capoluogo lombardo gli risulterà indigesta. Tornerà alla sua Napoli, nei servizi fotografici de Il Mattino, una collaborazione che gli permetterà di documentare gli istanti terribili del terremoto.

Nel 1983 si dimette dal quotidiano partenopeo e si trasferisce a Parigi, dove lavorerà per alcuni anni, fotografando la città e la Francia, intrattenendo rapporti con Henri Cartier-Bresson, Josef Koudelka, André Kertész, Marc Riboud e molti fotografi dell'agenzia Magnum. Nel 1990 inizia l’agonia del fotogiornalismo, sotto la spinta delle nuove tecnologie. Nel 2001 inizia a dedicarsi, con passione, alle tecniche digitali.

Luciano D'Alessandro muore a Napoli il 15 settembre 2016. Gianni Berengo Gardin, da noi interpellato al telefono, lo ricorda con affetto, per l’etica professionale e l’ospitalità che gli ha sempre riservato a Napoli e Capri.

Helmut Newton, note biografiche

Considerato uno dei maestri del Novecento, Helmut Newton ci ha restituito molteplici scatti del corpo femminile, tra ricerca fotografica ed erotismo sofisticato, ambiguo e talvolta estremo. Lui è stato un cultore del corpo, da cui è derivato un legame profondo con il mondo della moda. Newton ha lavorato ossessivamente con il bianco e il nero ed è nel gioco dei grigi che si delineano le forme, inserite nei contesti più disparati, ma altamente evocativi: semplici fondali, contesti urbani o interni di eleganti case alto borghesi. Per Newton la tecnica fotografica è importante, ma anche il corpo di donna e la sua contestualizzazione.

Lui ricorre un po’ a tutto: accessori, corsetti, addirittura a attrezzature ortopediche: questo per enfatizzare la femminilità e la carica erotica delle sue modelle. L’attrazione di chi guarda è al massimo: per un fetish che diventa culto, o anche provocazione. Helmut Neustätder, in arte Helmut Newton, nasce a Berlino il 31 ottobre del 1920 da una ricca famiglia di origine ebrea. L’ambiente della borghesia berlinese gli permette di seguire le proprie passioni e di avvicinarsi al mondo della fotografia fin dalla giovane età: a soli 12 anni acquista infatti la sua prima macchina fotografica. Con la diffusione delle leggi razziali naziste, lascia la Germania nel 1938 e trova temporaneamente rifugio a Singapore, ma poco dopo si vede internato ed espulso in Australia dalle autorità britanniche.

A Sydney si arruola con l’esercito australiano per combattere nella II Guerra Mondiale. Grazie alla devozione nei confronti del paese che lo ospita, nel 1946 ottiene la cittadinanza australiana, e nel 1948 conosce e sposa l’attrice e fotografa June Brunnell (in arte June Browne o Alice Springs), alla quale resterà legato per oltre 50 anni. Dopo la guerra lavora come fotografo freelance a Melbourne, collaborando con diverse riviste tra cui Playboy. Nel 1961 si trasferisce a Parigi, dove inizia a conoscere fama e popolarità grazie ai suoi scatti, pubblicati dalle più note riviste di moda internazionali come Vogue, Elle, GQ, Vanity Fair e Marie Claire, ed esposti in tutto il mondo.

Nel 1976 pubblica il suo primo volume di fotografie White Women, immediatamente osannato dalla critica per il rivoluzionario gusto estetico, segnato da un erotismo predominante. Raggiunge l’apice della carriera e della fama a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con le serie Sleepless Nights e Big Nudes, quando inizia inoltre a lavorare per grandi firme come Chanel, Versace, Blumarine, Yves Saint Laurent, Borbonese e Dolce&Gabbana. Conclude la sua carriera nel 1984, realizzando con Peter Max il video dei Missing Persons, Surrender your Heart. Si ritira così a vita privata, vivendo tra Montecarlo e Los Angeles.

Muore il 23 giugno del 2004, a 83 anni, in un incidente stradale a bordo della sua Cadillac.

Le fotografie.

Luciano D’Alessandro, “Dentro le Case”, Palermo 1977.
Twiggy e la sua gatta. Helmut Newton, Vogue 1967.

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