HELMUT NEWTON A MILANO
Ecco cosa scrivevamo tempo addietro circa Helmut Newton.
Non è la prima volta che affrontiamo le immagini del fotografo berlinese. Le conosciamo, ma solo per averle già viste; e in ogni occasione, abbiamo scoperto un piano di lettura diverso: vogliamo osservarle ancora. “I grandi”, ci ha suggerito Giovanni Gastel, “con le loro opere attivano il pensiero di chi guarda, spesso con chiavi interpretative differenti”. “Io stesso”, ha aggiunto, “Con le mie fotografie, non offro mai una visione univoca”.
Ecco svelato il mistero. Se sentiamo il bisogno di vedere e rivedere, se questo ci aggrada, dipende dalla complessità dell’artista, ma anche dal nostro stato d’animo: possiamo essere sentimentali in un’occasione, analitici in un'altra; e così via. Con Newton la vicenda si complica. Le immagini del fotografo solleticano i sensori del gusto, la vista di ciascuno di noi. Le figure femminili solo in apparenza sono soggiogate dal volere maschile (sarebbe meglio dire maschilista?), o almeno non completamente: vivono consapevolmente, e agevolmente, in habitat eleganti, irraggiungibili ai più. I contorni, per così dire, sono di alta classe: in una scenografia di lusso.
E gli uomini? Non ci sono “maschi”, nelle fotografie di Newton, solo ragazzi e uomini di buona famiglia, alle volte indisponenti perché indifferenti: lontani dall’offerta o da quanto sta per avvenire. Già perché, di fronte alle immagini dell’artista, spesso abbiamo vissuto l’idea che qualcosa potesse muoversi, divenire. Le labbra che si avvicinano potrebbero toccarsi e non ci stupirebbe se carezze e movenze giungessero a compimento, o anche se la “ragazza sellata” iniziasse a “gattonare” per noi, per tutti. Ecco un altro mistero che si scioglie. Quante volte ci siamo detti che nelle fotografie di Newton non compare la volgarità? Approfondiremo l’argomento, ma in parte abbiamo già risposto: manca l’uso e l’abuso, esiste solo la provocazione. Si comprende così come sia facile perdonare qualche traccia di violenza: i busti, gli arti ingessati, le fruste, aggiungono retrogusto e sapore a degli ambienti (le location) che alla fine risulterebbero troppo classici, se non addirittura stucchevoli.
Tutto questo lo sapevamo già. Entriamo in Palazzo Reale.