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IL CINEMA NON È PIÙ MUTO

20 aprile 1926. Nasce Vitaphone, il primo sistema per aggiungere il sonoro ai film. La macchina da proiezione veniva collegata meccanicamente a un giradischi da 33 giri. Mancava però la parola.

Il cinema muto lo abbiamo visto a tratti: in qualche cineforum o anche in TV. Gli interpreti dei film con la sola musica (spesso suonata dal vivo) erano Charlie Chaplin, Buster Keaton, assieme a Stan Laurel e Oliver Hardy, nelle loro prime apparizioni cinematografiche; tutti attori riconosciuti del genere slapstick, fondato su una comicità elementare e articolato intorno a gag tanto semplici quanto efficaci. A questi andrebbero aggiunti Harold Lloyd e i fratelli Marx.
Le scene delle pellicole senza suono erano accompagnate da pianisti o organisti, qualche volta addirittura da vere e proprie orchestre, che suonavano dal vivo a commento delle immagini che scorrevano sul grande schermo.

Per raggiungere emotivamente il pubblico senza l’ausilio della parola, la recitazione richiedeva enfasi mimica e grande mobilità facciale. Charlie Chaplin era un maestro in tal senso, che comunque aggiungeva al film muto le sue movenze e il modo di camminare. Lui, sicuramente un re del muto, recitò con l’apporto del sonoro solo nel 1940 ne “Il grande dittatore”.
Prima del 1927 (anno di uscita del primo film sonoro, “Il cantante jazz”), con il muto, nasce il fenomeno del divismo. Tra i primi a suscitare nel pubblico reazioni di fanatismo di massa sono stati l’attrice Gloria Swanson e il nostro Rodolfo Valentino (che proponiamo nelle immagini).

Ricordiamo comunque come il primo film muto sia stato Roundhay Garden Scene (1888), ma che i fratelli Auguste e Luois Lumière brevettarono ufficialmente la loro invenzione nel 1895, riprendendo, con la loro rudimentale cinepresa, gli operai che uscivano dalle fabbriche Lumière. Dopo di allora, i filmati senza parola sono rimasti nelle case di molti, ripresi dalle tante cineprese 8 mm e super8 che hanno raccontavano le vicende familiari: 3 minuti che visti oggi quasi appaiono come capolavori.

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GRACE KELLY SPOSA IL PRINCIPE RANIERI

19 aprile 1956, l'attrice Grace Kelly sposa Ranieri III di Monaco. Il matrimonio civile si era tenuto il 18 aprile, nella Sala del Trono del Palazzo del Principe. Il rito religioso venne officiato il giorno dopo nella cattedrale St Nicholas dal vescovo di Monaco Gilles Barthe. L’abito da sposa, considerato uno dei più riconoscibili di tutti i tempi, era stato un regalo dello studio MGM Production.
Grace già durante gli studi teatrali si era messa in mostra una bellezza semplice, distinta, regale. Col tempo è diventata un simbolo d’eleganza, nonché un modello da imitare per tutte le ragazze d’America degli anni cinquanta. Il fatto che sia diventata moglie del Principe Ranieri di Monaco apparì quasi naturale. Una predestinata.

Nel cinema, Grace era l’attrice preferita di Alfred Hitchcock. Per lui interpreta 3 capolavori: “Delitto perfetto”, “La finestra sul cortile” e “Caccia al ladro”. Sul set di quest’ultimo, girato a Montecarlo, conosce Ranieri di Monaco. Per il nobile monegasco abbandona il cinema e diventa nell’immaginario di tutti la Principessa Grace, eroina di una favola senza lieto fine.

Nel 1954 Grace vinse l'Oscar come migliore attrice per la propria interpretazione nel film "Ragazza di Campagna", che vedeva la partecipazione anche del divo Bing Crosby.
Il 13 settembre 1982, Grace e la figlia Stephanie furono coinvolte in un terribile incidente stradale mentre si dirigevano dalla Francia a Monaco. Stephanie riuscì a uscire in tempo dalla vettura precipitata in un pendio, a differenza della madre che venne ritrovata priva di sensi. Era già in coma quando fu trasportata in ospedale, dove morì 36 ore dopo a soli 52 anni.

Grace non venne mai dimenticata: per il passato d'attrice e per la storia di vita. La sua fiaba è finita male, ma in tutti lascia il ricordo dello stile che la distingueva, fatto di grazia, bellezza, ma anche tanta discrezione.

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RICORDANDO FULVIO ROITER

Ci ripetiamo tutti gli anni: vogliamo farlo. Il 18 aprile 2016 ci lasciava Fulvio Roiter. Dopo otto anni ci manca ancora di più: come fotografo e per il fatto di aver trascorso l’esistenza con la sfrontatezza di un eterno ragazzo. «L’età», ci disse in un’intervista, «Non sono gli anni che abbiamo, ma quelli che ci restano da vivere».

Il libro “Fulvio Roiter, di Roberto Mutti”, Bruno Mondadori Editore (2012), ci offre qualche spunto sul fotografo veneto, a iniziare dalle sue parole: «Mio padre aveva pochi mezzi, anche se non mi lesinava nulla. Com’era però nella cultura del tempo, me lo faceva pesare. Eravamo una famiglia mediamente numerosa, io ero il maggiore, mia sorella era più giovane di tre anni, mio fratello era arrivato molto più tardi, nel 1948, e noi si era sempre con l’acqua alla gola. Le discussioni e le decisioni più importanti, come in genere in tutte le famiglie di quel tempo, si prendevano a tavola tutti assieme».
Succede così che una sera il giovane Fulvio se ne esce con una frase che spiazza molti: «Voglio andare in Sicilia per vedere se sono un fotografo o un chimico», riferendosi al diploma conseguito all’istituto tecnico per periti chimici.

Andrà in Sicilia, Fulvio Roiter, per volere della famiglia. La girerà con un motorino acquistato in loco, iniziando a produrre immagini (in B/N allora) dall’intenso formalismo compositivo. Prima c’era stata la Gondola (il circolo di Venezia) e Monti, che l’aveva aiutato a capire fotograficamente. La vita spesso vive del caso e quella di Fulvio Roiter ne è un esempio.

Abbiamo conosciuto Fulvio Roiter al “Lido”, assieme alla moglie. Il suo sguardo era quello di un ragazzo: lucido e indisponente. Anche i dialoghi scaturiti vivevano di una vivacità spontanea, lasciata scorrere senza freni.
La sua carriera è iniziata nel dopoguerra: nell’Italia che ancora non telefonava e che continuava ad andare in treno. Siamo prima del boom, per intenderci, e forse in quel periodo è stato in grado di restituirci i lavori migliori (Sicilia, Umbria, Sardegna). Negli anni successivi sarebbero arrivati i libri e anche il colore. Per tutta la vita l’ha accompagnato un amore intenso per la sua Venezia, esplorata in ogni angolo dal suo obiettivo.

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IL RUGGITO DELLA MGM

17 aprile 1924. Viene fondata la Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), storica casa di produzione cinematografica USA. Tante volte il ruggito del suo leone a scandito l’inizio del film che aspettavamo.

La Metro-Goldwyn-Mayer, un tempo era lo studio cinematografico più grande e redditizio del mondo. Raggiunse il suo apice negli anni '30 e '40. In quel periodo la MGM ebbe sotto contratto personalità di spicco del cinema come Greta Garbo, John Gilbert, Lon Chaney, Norma Shearer, i Barrymore (Ethel, Lionel e John), Joan Crawford, Jeanette MacDonald, Clark Gable, Jean Harlow, William Powell, Myrna Loy, Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Judy Garland, Mickey Rooney, Elizabeth Taylor, Gene Kelly e Greer Garson.

La società venne costituita quando Marcus Loew, esercente e distributore cinematografico, acquistò la Metro Pictures nel 1920. Quattro anni dopo la società si fuse con la casa di produzione Goldwyn. I Goldwyn Studios di Culver City, vicino a Hollywood, divennero infine la sede centrale dello studio della MGM.
Nel 1925 Louis B. Mayer Pictures si unì al gruppo e Mayer fu capo esecutivo dello studio per 25 anni. Nei primi anni Irving Thalberg (1899-1936) era il giovane produttore creativo dello studio con l’autorità di rimontare qualsiasi film della MGM. Lo studio ha prodotto successi come Grand Hotel (1932), David Copperfield (1935), The Good Earth (1937), The Women (1939), The Philadelphia Story (1940), Mrs. Miniver (1942), Gaslight (1944), e La giungla d'asfalto (1950).

La MGM divenne particolarmente celebre per i suoi sontuosi musical, tra cui Il mago di Oz (1939), Ziegfeld Girl (1941), Meet Me in St. Louis (1944), Till the Clouds Roll By (1946), Easter Parade (1948 ), In città (1949), Un americano a Parigi (1951), Cantando sotto la pioggia (1952) e Gigi (1958). La MGM iniziò a declinare negli anni '50 e subì una serie di cambiamenti di gestione a partire dagli anni '60. Le produzioni successive dello studio includevano Doctor Zhivago (1965) e 2001: Odissea nello spazio (1968). Lo studio vendette molte delle sue attività negli anni '70 e per un certo periodo si diversificò in iniziative non cinematografiche, come hotel e casinò. Dal 1973 in poi, la MGM ebbe vari rapporti finanziari con un altro studio cinematografico, la United Artists Corporation. Il 17 marzo 2022 MGM viene ufficialmente acquisita da Amazon.

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