Skip to main content

I 60 DI NANCY BRILLI

Per Nancy la recitazione è stata quasi terapeutica. Aveva perso la madre quando era ancora bambina, così l’infanzia l’ha costretta al dolore, vista anche la figura assente del padre. Nella professione ha trovato la propria spinta vitale, con la quale ha ottenuto numerosi riconoscimenti per il suo talento di attrice. Bella da impazzire, radiosa e fresca, Nancy Brilli sembra una ragazza ribelle anche grazie ai capelli arruffati e disinvolti: certamente un effetto anti età.
C’è dell’altro, però. La sua bellezza vive nel colore degli occhi, nelle espressioni, nel modo di ridere, nell’atteggiamento. Anche il corpo non è male (anzi), il che contribuisce a un’estetica non omologata, quasi da antidiva. Classificarla come la ragazza della porta accanto risulta esagerato, anche perché rimane pur sempre sofisticata, speciale, ideale per quell’incontro desiderato da tanti.

Ricordiamo Nancy nel film “Compagni di scuola” (1988), diretto e interpretato da Carlo Verdone. Lei è una mantenuta di lusso e invita nella sua villa sull'Appia antica i compagni di scuola, quindici anni dopo la licenza liceale. Un pomeriggio e una sera insieme bastano per giungere alla conclusione che nessuno è riuscito a realizzarsi, anche se il più imbranato riuscirà a trarre dall’incontro la forza per ribellarsi a un’esistenza insignificante.
La pellicola di Carlo Verdone potrebbe essere definita “Il Grande Freddo” all’italiana, ma il paragone è improponibile, anche perché risulterebbe riduttivo per entrambi i lavori. La commedia dell’attore romano regge e Nancy ne esce bene (molto), con l’aiuto del suo talento innato.

Continua a leggere

CHARLES BAUDELAIRE E LA FOTOGRAFIA

Charles Baudelaire nasce il 9 aprile del 1821, a Parigi. Lo ricordiamo oggi anche per il suo atteggiamento nei confronti della fotografia.

Siamo nel 1859. La Société Française de Photographie ottiene dal ministro delle Belle Arti che ai fotografi venga concesso di esporre al Palazzo dei Champs-Elysées in occasione del Salon annuale di pittura.
Baudelaire recensì quella mostra. Ecco cosa disse: «…Se si permette alla fotografia di sostituire l’arte in qualcuna delle sue funzioni, essa l’avrà presto soppiantata o corrotta completamente … Bisogna dunque che essa ritorni al suo vero compito, che è d’essere serva delle scienze e delle arti, ma la più umile serva, come la stampa o la stenografia, che non hanno né creato né sostituito la letteratura. Che arricchisca essa rapidamente l’album del viaggiatore e restituisca ai suoi occhi la precisione che potrebbe mancare alla sua memoria, che essa abbellisca la biblioteca del naturalista, ingrandisca gli animali microscopici; rafforzi con qualche informazione le ipotesi dell’astronomo; che essa sia infine il segretario e il taccuino di chiunque abbia necessità nella sua professione di un’assoluta esattezza materiale, fin qui nulla di meglio. Che salvi dall’oblio le rovine cadenti, i libri, le stampe e i manoscritti che il tempo divora, le cose preziose di cui va sparendo la forma e che chiedono un posto negli archivi della nostra memoria, essa sarà ringraziata e applaudita. Ma se le si permette d’invadere il dominio dell’impalpabile e dell’immaginario, soprattutto ciò che vale perché l’uomo vi a aggiunto qualcosa della sua anima, allora sventurati noi!». (Fonte: Beaumont Newhall, “Storia della Fotografia”, edizioni Einaudi).

Baudelaire con le sue parole non condanna la fotografia, anzi; in un certo senso ne è affascinato per via delle potenzialità possedute nel riprodurre il reale. Non la vuole come forma d’arte, in un contrasto che spesso incontriamo anche oggi nelle parole di tanti pensatori.

Continua a leggere

I SEGRETI DI TWIN PEAKS

8 aprile 1990. Negli USA, sulla rete ABC, viene trasmessa la prima puntata della serie “I Segreti di Twin Peaks”. Ideato e diretto da David Lynch, raggiunge subito un ampio successo. L’ultima puntata sarebbe andata in onda il 10 giugno 1991 (il giorno 11, in Italia).

Tutto parrebbe incentrato su un mistero avvenuto in una piccola cittadina, dove una studentessa viene rinvenuta morta. Twin Peaks, però, rivela molto di più, perché come in un cocktail mescola abilmente il giallo, il thriller, con una “spruzzatina” di soprannaturale e comicità. I personaggi che si susseguono sono uno più strano e singolare dell’altro.
Anche la colonna sonora divenne iconica, l’elemento introduttivo per la tensione del mistero. Portava la firma di Angelo Badalamenti. Pare che Lynch fosse di fianco al musicista mentre componeva “The Laura Palmer Theme”, un brano della colonna sonora. Gli avrebbe detto: «Ok Angelo, adesso siamo seduti in un bosco buio e c’è un lieve vento che soffia attraverso gli alberi di sicomoro. E c’è la luna e qualche verso di animale in sottofondo e puoi ascoltare il bubolato di un gufo».

Lynch è un’artista poliedrico, contaminato, abile ricercatore in più di una disciplina. Lui è regista, sceneggiatore, pittore, musicista, fotografo, designer. Pur venendo considerato (a ragione) un simbolo del cinema, nelle sue pellicole è riconoscibile l’influenza delle altre arti, in una profonda coerenza di fondo.

Continua a leggere

OSCAR A JOHN WAYNE

7 aprile 1970. Nonostante il numero di film interpretati, John Wayne vince finalmente il suo primo e unico Oscar. Il premio come migliore attore protagonista gli viene assegnato per il film "Il Grinta" diretto dal regista Henry Hathaway.

A partire dal film "Ombre rosse" (1939), il suo primo grande successo, il ruolo che interpretava John Wayne giustificava una certa America: attuativa e sbrigativa, burbera a volte, che avrebbe voluto far emergere la sensibilità dei buoni. In realtà dietro quella facciata retorica si è sempre nascosto un conservatorismo ostinato e cieco: indiani cattivi e pericolosi di fronte a dei conquistatori portatori di civiltà. A vincere è sempre stato il coraggio, l’onore, anche l’amore, per una frontiera (il west) fatta per i duri.

John Wayne però piaceva, molto; anche al cospetto del pubblico femminile. La sua camminata era unica, come il sorriso ironico di fronte a una bella donna.
Dell’attore vogliamo ricordare un altro film cult, “Un uomo tranquillo” (1952), una commedia ambientata in Irlanda e non nel West americano. La pellicola venne presentata alla 13ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e viene ricordata per la più epica scazzottata della storia del cinema. Onore amicizia e amore emergono comunque con forza, come in tutte le interpretazioni dell’attore americano.

La carriera di John Wayne merita comunque rispetto, anche se storciamo un po’ il naso di fronte al suo conservatorismo esaltato. Erano altri tempi, lasciamo stare.

Continua a leggere