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IL GIORNO DELLA MEMORIA

Per un giorno così importante, riprendiamo un libro incontrato già due volte, nel 2019 e 2020, per ragioni storiche. Si tratta di: “Il bambino di Varsavia, storia di una fotografia”, di Frédéric Rousseau (Edizioni Laterza). Nel volume si parla del Ghetto di quella città, circoscritto da un muro il 16 novembre 1940. Da lì gli ebrei (380mila) sarebbero stati deportati il 22 luglio 1942. Sappiamo come un gerarca nazista (Jürgen Stroop, generale delle SS) volesse documentare fotograficamente lo sgombero del Ghetto, in un album “di pregio” da consegnare a Hitler, dove avrebbe trovato posto l’immagine riportata in copertina del libro di Rousseau: quella del bambino, appunto. Ed è proprio quella fotografia che deve farci riflettere, nel giorno della memoria e anche in altri ambiti.

La fotografia oggi possiede ancora un valore storico? E’ capace di tramandare la verità? E poi noi, abitanti odierni del tempo, siamo in grado di leggerla a dovere? La lettura del volume segnalato può fornirci delle risposte, certo non positive, perché sono cambiati i tempi, le consuetudini, le abitudini e, soprattutto, i desideri che animano l’umanità del mondo benestante. Noi diamo troppo peso alla nostra vita come fatto a se stante: non c’è un dopo e il prima vale poco. Vince l’emozione, l’emotività, la felicità (mendace) di un momento fugace e condivisibile solo in quell’istante.

Rimanendo alla fotografia, i nostri bisnonni si facevano ritrarre non per vezzo, e nemmeno al fine di apparire. Erano consapevoli che il loro scatto avrebbe assunto un ruolo storico, in ambito familiare, per i “guardanti” del futuro.
Ci rendiamo conto di come la nostra analisi possa apparire frettolosa e anche presuntuosa, volta a celebrare un passato sempre migliore. No, non è questo l’obiettivo che volevamo raggiungere. Preoccupiamoci di tramandare la verità storica, soprattutto oggi; e dedichiamo alla fotografia la fiducia necessaria. Può esserci d’aiuto.

Riflessioni dal libro “Il bambino di Varsavia”

Tutti hanno visto la fotografia di quel bambino, da oltre mezzo secolo è diventata uno dei simboli della Shoah. E’ ancora in grado, però, di raccontarci quanto accadde? Oggi basta premere un bottone e altre immagini si sovrappongono alle precedenti, alimentando una confusione che è anche ideologica e sociale.
L’immagine di quel bambino non è più un documento e l’abbiamo vista sotto altre vesti, stilizzata, colorata diversamente, semitrasparente come sfondo a un testo. Del resto la globalizzazione desidera questo: esaltare l’emotività odierna con un filtro mondiale. Si vuole far sì che gli abitanti globali connessi possano commuoversi di continuo. Viene così a mancare l’analisi storica degli avvenimenti e, con essa, il desiderio di conoscenza. La fotografia non ha mai rappresentato la verità assoluta, ma oggi rischia di diventare menzogna. Cerchiamo di ripensare alla storia e studiamola: oggi più che mai. E cerchiamo di dare alla fotografia il ruolo che merita, con responsabilità.

Le fotografie

Copertina del libro: “Il bambino di Varsavia, storia di una fotografia”, di Frédéric Rousseau. Edizioni Laterza.
Lo sgombero del Ghetto di Varsavia, 1942.

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