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NASCE IL TEATRO ALLA SCALA

Nasce il Teatro alla Scala, l’epicentro mondiale della lirica e del bel canto. Un tempo il melodramma aveva un carattere popolare e chi ha avuto la fortuna di conoscere le generazioni precedenti la nostra ricorderà come le romanze di Verdi e Puccini si cantavano in casa. Con i nonni, spesso la serata veniva trascorsa ascoltando le opere liriche per radio. Per tutti, il Teatro alla Scala rappresentava il luogo di culto, dove nascevano e si tramandavano le leggende di soprani e tenori, di un loggione severissimo. Forse oggi è giusto ricordare un’altra data importante, l’11 maggio 1946. Quel giorno la Scala riapriva dopo essere stata ricostruita (a tempo di record) sulle macerie dei bombardamenti. Milano dimostrò il suo orgoglio, la tenacia della volontà di reagire. E molti cittadini erano lì, ad ascoltare l’orchestra diretta da Arturo Toscanini, rientrato in Italia dopo un esilio iniziato nel 1931, causato dallo schiaffo di Bologna. Il Direttore d’Orchestra parmense aveva settantanove anni e in molti, a fine concerto, scorsero sul suo viso un piccolo sorriso (merce rara per lui, severo com’era). Rinasceva la Scala, la musica continuava a vivere.

Prima di parlare del Teatro alla Scala, va fatto un piccolo cenno ai fotografi. Giorgio Lotti ci propone il calore dell’interno, dopo che Renata Tebaldi ha ultimato il suo concerto d’addio. Carlo Mari offre alla vista la promessa della città di Milano durante la pandemia. Il Teatro, illuminato di fronte a una piazza deserta, sembra dare un appuntamento per un futuro prossimo, quando il peggio sarà passato e la vita migliore.

Tra storia e curiosità

Il Teatro alla Scala venne inaugurato il 3 agosto 1778. Realizzato per decreto di Maria Teresa d'Austria. Doveva essere il più grande e la stessa Opera di Vienna venne poi costruita sul suo esempio. Nacque dalle ceneri del Teatro Regio di Villa Reale, distrutto da un incendio il 23 febbraio del 1776, e dalle macerie della chiesa pericolante di Santa Maria della Scala, demolita per fargli posto, da cui prese il nome. Nel 1778 l'architetto Giuseppe Piermarini portò a termine il teatro, che fu inaugurato il 3 agosto con un'opera di Antonio Salieri, L'Europa riconosciuta. Soltanto dal 1940 la Prima, ovvero la prima rappresentazione della nuova Stagione, si tiene nella sera del 7 dicembre, giorno di Sant'Ambrogio, patrono di Milano.

Il Teatro alla Scala non è sempre stato serio come oggi lo conosciamo. Nei palchetti, di proprietà delle famiglie benestanti, si consumavano cibi e bevande, durante incontri galanti. Le seggiole della platea, un tempo destinate alle classi “inferiori”, erano mobili così da poter essere facilmente spostate per far posto a un’area libera, dove si poteva ballare e persino partecipare a gare di equitazione. Nel ‘800, nel ridotto della Scala la bisca funzionava da mezzodì alle 4 del mattino.

I fantasmi e il punto Callas

La leggenda vuole che il Teatro alla Scala ospiti il fantasma di Maria Malibran, celebre soprano del XIX secolo, morta giovane. Altri, invece, hanno “visto” qui lo spirito di Maria Callas. Noi crediamo che tanti fantasmi vaghino tra i palchi del Teatro alla Scala, e sono quelli di soprani e tenori che lì hanno cantato il melodramma. Poi ci sono i Visconti, che ne hanno elevato il prestigio; e i direttori d’orchestra, compreso quell’Arturo Toscanini che ha fatto abbassare il golfo mistico (dove è collocata l’orchestra). La leggenda del bel canto abita qui, compresa quella del “Punto Callas”. Si dice infatti che la soprano abbia individuato il punto preciso del palcoscenico da dove far arrivare la sua voce ovunque. Il famoso «punto Callas», appunto.

Il Teatro alla Scala oggi

Oggi la Scala è sede dell’omonima orchestra, corpo di ballo, coro e Filarmonica, oltre che dell’Accademia e di una scuola di musica, ballo e mestieri legati al teatro. Ospita anche il Museo teatrale e da dove si può entrare nel Teatro per affacciarsi da un palco e ammirare l'interno della Scala.

(Fonte: Sito Ufficiale del Teatro)

Il fotografo Giorgio Lotti, l’incontro con lui

L’auto procedeva a fatica. La pioggia era torrenziale, mai vista. In autostrada non c’era nessuno. A Firenze veniamo fermati da una pattuglia della polizia: “Da dove venite?”, ci chiedono con una certa meraviglia. E aggiungono: “Stiamo chiudendo entrambe le corsie”. Era il prologo dell’alluvione: quella del ’66, cinquant’anni addietro. I ricordi sono quelli di chi scrive, allora bambino. Il giorno dopo, il mondo aveva il colore del fango: tra ponti divelti, frane, case danneggiate.

Incontrare Lotti è stata un’emozione grande, perché lui, quella notte, era a Firenze, aspettando la notizia. L’Arno gonfiava e Giorgio camminava per capire, leggere, intuire. Come sempre, mentalmente stava creando quello spazio “vero” nel quale collocare le proprie immagini. Il nostro non è mai stato “cacciatore” delle proprie fotografie; probabilmente le ha attese, creandole magari: conoscendo già cosa la realtà gli avrebbe manifestato. Il servizio sull’alluvione del ’66 (del quale riportiamo alcune immagini) ne è appunto un esempio eloquente, perché sorprende per quanto c’è, ma soprattutto per quello che manca. Il racconto possiede la forza della sintassi fotografica da reportage: soggetto e contesto, verità e interpretazione, soggettività e spazio per chi guarda. Giorgio, in quegli scatti, sussurra, suggerisce, propone; offre al lettore la possibilità di afferrare il racconto, immergendovi le proprie emozioni. Questa è fotografia. Cosa manca? La retorica slavata, il clamore, la violenza che strozza il respiro e chiude gli occhi, impedendo di pensare. Questa è fotografia. Abbiamo letto le righe che seguono più volte. Vengono riportati tanti episodi, tutti coerenti tra loro. Con un po’ di preoccupazione, confidiamo ne emerga il senso ultimo: quello che un giornalista fotografico ha voluto infondere al proprio lavoro e, se vogliamo, a una vita intera. Sono lezioni, quelle che abbiamo ascoltato; che, molto umilmente, confidiamo possano emergere dal testo che riportiamo. Ringraziamo Giorgio Lotti per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.

Giorgio Lotti, note biografiche

Giorgio Lotti nasce a Milano nel 1937. Inizia a lavorare nel 1957, collaborando come free-lance per alcuni quotidiani e settimanali quali “Milano Sera”, “La Notte”, “Il Mondo”, “Settimo giorno”, “Paris Match”. Nel 1964 entra nello staff di Epoca sotto la direzione di Nando Sampietro, dove rimane fino al 1997, anno di chiusura del giornale. Ha lavorato fino al 2002 a Panorama.

Nel 1973, per un reportage fatto in Cina viene insignito, dalla University of Photojournalism, Columbia, del premio “The World Understanding Award”. Ha partecipato inoltre a numerose edizioni del Sicof a cura di Lanfranco Colombo. Nel 1995, nel corso del 16° Sicof viene premiato con l”Horus Sicof 1995” per il ruolo svolto nel campo della fotografia italiana. È stato premiato dalla città di Venezia per i suoi reportages sulla Serenissima. Nel 1994, a Modena, riceve il prestigioso premio letterario “Città di Modena”.

Alcune immagini sono conservate nei musei americani, di Tokio, Pechino, al Royal Vìctoria Albert Museum di Londra, al Cabinet des Estampes di Parigi, al Centro Studi dell’università di Parma, alla Galleria Civica di Modena.

Negli ultimi dieci anni si è dedicato alla ricerca fotografica nel campo del colore e dell’arte.

Il fotografo Carlo Mari, appuntamento a Milano

E’ vero, così non l’avevamo mai vista, e nemmeno immaginata: manca il traffico, nelle immagini che vediamo, l’efficienza, la velocità. Si tratta di luoghi comuni, che però hanno permesso a tanti di identificarsi con un modello, sentendosi almeno milanesi d’adozione. Milano, però, non ostenta, neanche nei momenti difficili. Pur essendo una città del mondo, difficilmente celebra le proprie virtù; forse perché sempre in movimento e impegnata a cambiare di continuo. E’ più facile che si proponga, in coerenza col momento storico e le tendenze del tempo.

Molti ricordano la Milano del boom, industriale e produttiva; o anche quella “da bere”, più frivola e modaiola. C’è poi la città del Natale, del fashion, delle fiere, delle banche e dei mercati: un continuo svestirsi e rivestirsi per chi voglia vedere e comprendere, dimostrandosi attuale. Mancava solo una pandemia e, a guardare le immagini di Carlo Mari, ci si accorge come Milano ce la stia già facendo. Il fotografo ha avuto il merito di portare alla ribalta una città nuova, per nulla livida o ferita. Piuttosto si evince un tempo che rallenta, non nell’efficienza ma nelle idee. Riflette, la città, e induce a pensare. Dovrà farlo anche il milanese adottivo, accogliendo una proposta nuova, diversa, persino migliore.

Sono in bianco e nero, le immagini di Carlo; una scelta felice per l’alto potere evocativo che riescono a esercitare. Non manca solo la gente, sono caduti tutti i vestiti della città che conoscevamo: le nebbie anni ’60 e la retorica turistica degli angoli caratteristici. Strade, viali e palazzi si aprono in una vista completa, enorme, assoluta. E lì sta la proposta: i luoghi fotografati diventano accessibili, disponibili; pronti per un divenire imminente dove sarà bello incontrarsi, magari dopo essersi guardati attorno.

Una Milano nuova e riconoscibile: così Carlo Mari ha interpretato la città, restituendocela per come la troveremo. Le sue fotografie rappresentano anche un invito a ricominciare, questa volta con garbo e rispetto. Sì perché all’ombra del Duomo il tempo non ha mai rappresentato pigrizia o nostalgia, bensì solo un viatico per modificarsi, in meglio peraltro. Ce la sta già facendo, Milano; e con Mari ci consegna un invito a tornare. Un appuntamento fissato che non possiamo disattendere.

Carlo Mari, note biografiche

Carlo Mari, fotografo contemporaneo, milanese d’adozione, è nato a Legnano, a pochi chilometri da Milano, nel 1959. Ha viaggiato il mondo sopra e sotto i mari, sempre con la macchina fotografica al collo, per raccontare. Nel quotidiano, si occupa di fotografia commerciale, ritraendo anche la moda, perennemente alla ricerca della bellezza in tutte le sue forme.

Tra gli anni ’80 e ’90, è apparso sulle copertine delle più importanti riviste di mare italiane ed estere, sulle quali erano pubblicati i suoi servizi. In seguito - e per molto tempo - ha documentato la vita selvaggia dell'Est Africa. Su invito della “The Harvill Press” di Londra, sono nati due importanti volumi: il primo, “The Great Migration”, vinceva a Padova il premio quale “Miglior libro fotografico 2000” e a Parigi il “Prix Nadar” come miglior produzione fotografica dell'anno; il secondo, “Pink Africa”, descriveva la vita dei fenicotteri rosa nella Rift Valley.

Carlo Mari ha al suo attivo molti libri fotografici pubblicati in tutto il mondo, alcuni riguardanti la vita dei fondali marini, altri l’Est Africa, tra Kenya e Tanzania, altri ancora il nudo artistico e il glamour pubblicitario, come “Animal Man” pubblicato a Parigi da “Edition de La Martinière” nel 2000.

Ritrattista, da anni documenta la bellezza - non solo esteriore - di molte popolazioni a rischio di estinzione in Est Africa. Nel 2003 ha realizzato per F&T il libro “Safari” con la scrittrice Kuki Gallmann.

“My Africa” F&T, una delle sue più importanti creazioni, è entrato a far parte della lista dei best-sellers fotografici nel 2004 in Germania. Con la “Leonardo International“ ha realizzato nel 2009 un libro su Papa Benedetto XVI in visita all'Abbazia di Montecassino e nel 2010 è stato autore del calendario “BERETTA Armi”.

Cultori e collezionisti lo conoscono per le sue ricercate stampe Fine Art, in tiratura limitatissima, presenti nelle più importanti collezioni del mondo.

Negli ultimi anni il richiamo del mare è stato talmente forte da indurlo alla ricerca di sensazioni antiche. Con “Skira Editore” ha pubblicato, nel 2019, il libro “Passage through DAR”: una raccolta di ritratti realizzati al mercato del pesce di Dar Es Salaam in Tanzania. In collaborazione con CMStudio, è nato il volume Fine Art “Secret Love”, una straordinaria storia d'amore tra l’autore e il suo mare.

Fotografo attento e attivo, sempre alla ricerca di esperienze nuove e diverse, oggi, d’istinto, si è dedicato al racconto di Milano, la città che sente maggiormente vicina. Nel periodo epocale della pandemia Covid19, è riuscito a esaltarne la bellezza, facendole compagnia. In stretta collaborazione con l'Arma dei Carabinieri ha potuto essere presente e fotografare la città durante il periodo di lock-down.

Le fotografie

Il soprano Renata Tebaldi al termine della sua esibizione al Teatro alla Scala riceve gli applausi e la standing ovation del pubblico. Milano, 1974. Mondadori Portfolio - Archivio Giorgio Lotti.

Carlo Mari. Il Teatro alla Scala fotografato durante il lock down. Fotografia tratta dalla mostra “Io Milano”. Dell’esposizione è stato prodotto il catalogo edito da Skira.

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