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[BELLA E SPAGNOLA]

Il titolo ci è venuto così, quasi per caso. I meriti di Penelope Cruz non stanno certo nella nazionalità, ma nel fatto di aver sempre evitato le omologazioni. Gli strumenti non le sarebbero mancati: bellezza, altezza, grazia. Spagnola, per noi oggi, vuol dire donna a tutto tondo, nei film: anche sorella, suora, madre. Non è un caso che Pedro Almodovar l’abbia cercata spesso: Penelope sarebbe stata capace di esasperare l’aria surreale che aleggia nelle sue pellicole.

Abbiamo scelto un ritratto di Peter Lindbergh per ricordare l’attrice spagnola. In esso non troviamo né trucco, tantomeno inganno; permangono, viceversa, i segni della vita recente, forse quelli giovanili, i tanti che esasperano la bellezza rendendola più vera. Con una bella spagnola non si poteva fare di più.

Penélope Cruz è nata in provincia di Madrid il 28 aprile 1974. Da piccola, era già un'artista compulsiva, rievocando spot televisivi per il divertimento della sua famiglia, ma ha deciso di concentrare le sue energie sul balletto. Dopo aver studiato danza classica per nove anni al Conservatorio Nazionale di Spagna, ha continuato la sua formazione sotto la guida di ballerini di spicco. A 15 anni, però, ha ascoltato la sua vera vocazione quando ha battuto più di altre 300 ragazze a un'audizione di un'agenzia che selezionava talenti. Quel successo le è valso diversi ruoli in programmi TV spagnoli e video musicali, che a loro volta le hanno aperto la strada a una carriera sul grande schermo.

Cruz entra nel mondo del grande schermo con “Il labirinto greco” (1993), dopo essere apparsa brevemente nel thriller di Timothy Dalton “Incorniciato” (1992). Il suo terzo film è stato “Belle Epoque” (1992), vincitore dell'Oscar, in cui interpretava una delle quattro sorelle in lizza per l'amore di un affascinante disertore dell'esercito. Il film ha anche ottenuto diversi Goya, l'equivalente spagnolo degli Academy Awards.

Il suo curriculum ha continuato a crescere di tre o quattro film all'anno e presto Cruz è diventata una protagonista del cinema spagnolo. “Carne trémula” (1997) le ha offerto la possibilità di lavorare con il famoso regista spagnolo Pedro Almodóvar (che in seguito sarebbe stato il suo biglietto da visita per la fama internazionale), e lo stesso anno è stata l'attrice protagonista del film di fantascienza “Apri gli occhi” (1997).

La sua fortuna è finalmente cambiata nel 1998, quando la commedia cinematografica “La Niña dei tuoi sogni” (1998) le è valsa il premio Goya come migliore attrice. Cruz ha fatto qualche altra incursione nel cinema in lingua inglese, ma il suo primo grande successo internazionale è stato “Tutto su mia madre” (1999) di Almodóvar, in cui interpretava una suora impudica ma ben intenzionata. Mentre il film è stato inondato di premi e riconoscimenti, Cruz si è trovata improvvisamente richiesta su entrambe le sponde dell'Atlantico. Il suo impegno successivo è stato “Per incanto o per delizia” (2000), una commedia americana su uno chef con abilità culinarie ammalianti e un grave caso di cinetosi.

Mentre era negli Stati Uniti, ha recitato al fianco di Johnny Depp nel dramma sul traffico di droga “Blow” (2001) e al fianco di Matt Damon in Passione ribelle (2000) di Billy Bob Thornton. Cruz dice di essere cauta nell'essere interpretata come una bellissima giovane damigella, ma è difficile immaginare di mascherare il suo fascino con gli occhi spalancati e la sua natura generosa. Della Cruz ricordiamo anche Vanilla Sky (2001) di Cameron Crowe, un remake di Apri gli occhi (1997).

Note

pNel 2017 viene fotografata da Peter Lindbergh per il Calendario Pirelli, dove è protagonista accanto ad attrici di Hollywood come Nicole Kidman, Kate Winslet e molte altre.

[Le fotografie]

Penelope Cruz per Vogue, Marzo 2001. Photo Herb Ritts

Penelope Cruz per il Calendario Pirelli 2017. Photo Peter Lindbergh

[Il fotografo, Herb Ritts]

Herb Ritts (1952-2002) è un fotografo di Los Angeles che ha conquistato una reputazione internazionale per le sue immagini di moda, nudo e per i ritratti che vedono coinvolte numerose celebrità. Durante gli anni '80 e '90, Ritts era richiesto dai principali stilisti di moda, come Armani, Gianfranco Ferre, Donna Karan, Calvin Klein, Valentino e Versace, oltre che dai redattori di "GQ", "Rolling Stone" e "Vanity Fair ".

Per lo più autodidatta, Ritts ha creato un proprio stile, spesso facendo uso della luce e del paesaggio della California; riuscendo così a differenziarsi dai suoi colleghi di New York. Dalla fine degli anni Settanta fino alla sua morte prematura per via dell'AIDS, nel 2002, la capacità di Ritts di creare fotografie ha colmato con successo il divario tra arte e mercato. Ciò ha rappresentato non solo il testamento del potere della sua immaginazione e della sua abilità tecnica, ma anche l'unione sinergica tra Arte, cultura popolare e attività commerciale, perseguendo così la sfida propria del movimento Pop Art degli anni ‘60 e ‘70.

Herbert Ritts Jr. nasce il 13 agosto 1952 a Los Angeles, in California. La sua famiglia è agiata e possono permettersi una villa vicino a quella di Steve McQueen. Ha iniziato la sua carriera fotografica alla fine degli anni '70 e si è guadagnato la reputazione di maestro dell'arte e della fotografia commerciale. Oltre a produrre ritratti e moda editoriale per Vogue, Vanity Fair, Interview e Rolling Stone, Ritts ha anche creato campagne pubblicitarie di successo per Calvin Klein, Chanel, Donna Karan, Gap, Gianfranco Ferré, Gianni Versace, Giorgio Armani, Levi's, Pirelli, Polo Ralph Lauren e Valentino, tra gli altri. A partire dal 1988 ha diretto numerosi video musicali e spot pubblicitari pluripremiati. La sua fotografia d'arte è stata oggetto di mostre in tutto il mondo, con opere che risiedono in molte importanti collezioni pubbliche e private.

Nella sua vita e nel suo lavoro, Herb Ritts è stato attratto da linee pulite e forme forti. Questa semplicità grafica ha permesso alle sue immagini di essere lette e sentite istantaneamente. Con i suoi lavori è riuscito nel tempo a cogliere e a rendere delle vere icone per i fan diverse star. Ritts prediligeva il B&W e la luce naturale, con la quale esaltava le curve del corpo. Il suo stile s’ispirava soprattutto alla bellezza classica, tinta però di glamour. Grazie a lui l'estetica maschile perde i canoni virili degli anni precedenti, assumendo toni erotici e ambigui.

[Il fotografo, Peter Lindbergh]

Il fotografo tedesco Peter Lindbergh ha decretato la nascita delle Top Model. Siamo nel 1990 e la moda entrava in una nuova era. Iniziava anche una differente lettura della bellezza femminile. Il suo bianco e nero risulta seduttivo, ma anche crudo, essenziale. Il fotografo ridefinisce il concetto di bellezza, creando immagini senza tempo. Emerge il linguaggio del cinema, assieme a modelli predefiniti e consueti di figure femminili, con le modelle che assumono le pose di ballerine, attrici, eroine o “donne fatali”. Non si tratta di una visione surreale, ma di un suggerimento, di una chiave di lettura, che avvicina allo sguardo una bellezza autentica, umanizzata, non trattata. Non c’è ritocco, nelle immagini di Lindbergh, quindi nessun inganno. Il suo approccio umanista ci guida in un mondo nuovo, oltre l’esteriorità. Siamo nella moda, il merito è grande.

Peter Lindbergh è nato a Lissa, in Germania, il 23 novembre 1944. S’innamora dell'arte attraverso Van Gogh ed entra nel mondo della pittura. All'inizio degli anni '60 lavora come vetrinista in un piccolo centro commerciale, mentre inizia gli studi all'Accademia di Belle Arti di Berlino. Per un po’ lascia Berlino e intraprende un viaggio (zaino in spalla e autostop) attraverso la Spagna e il Nord Africa. Di ritorno in Germania, riprende gli studi.

Nel 1971, dopo alcuni successi in ambito pittorico, la sua vita cambia. E’ a Düsseldorf e scopre la fotografia. Lavora per due anni come assistente, poi nel 1973 fonda il proprio studio. Nel 1978, già noto come fotografo di moda, si trasferisce a Parigi per intraprendere una carriera che lo renderà un riferimento mondiale e contemporaneo nel mondo della fotografia. In un'epoca nella quale la bellezza è associata alla giovinezza e alla perfezione, Peter Lindbergh propone esattamente l'opposto, si presenta come un fotografo umanista che cerca la vera bellezza, emotiva, umana, personale; ama la naturalezza e la fotografia in bianco e nero. Ha pubblicato ovunque: dal Calendario Pirelli alle copertine di Vogue, Vanity Fair o Harper's Bazaar, ritraendo Linda Evangelista, Naomi Campbell o Cindy Crawford. Le sue opere sono state esposte nei più importanti musei d'arte moderna del mondo.

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