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IL PRIMO DRIVE-IN

Non vogliamo dimenticarlo. 6 giugno 1944, all'alba inizia una delle più importanti e decisive azioni militari della seconda guerra mondiale: le truppe alleate sbarcano sulle coste della Normandia, al comando del generale Eisenhower. È il D Day. Quando i soldati del 16° reggimento della prima divisione di fanteria sbarcarono a Omaha Beach il fotografo Robert Capa, al servizio della rivista Life, era tra questi. Scatterà le “magnifiche 11”, delle quali abbiamo parlato gli anni scorsi.

Oggi cambiamo argomento. Il 6 giugno 1933, Richard Hollingshead inaugurò a Camden, New Jersey, il primo drive-in della storia. La ricetta risultò semplice: uno spazio di terra, uno schermo gigante dove proiettare un film e un altoparlante per ogni auto parcheggiata.
Hollingshead aveva già sperimentato la sua idea, montando un proiettore sul cofano della sua auto e proiettando un film su un lenzuolo teso tra due alberi. Una volta brevettato il tutto, aprì il suo drive-in e in poco tempo ne nacquero altri, in tutti gli Stati Uniti.

Molti film ci hanno fatto conoscere il drive-in, come parte della loro sceneggiatura. Ricordiamo, a proposito, Grease-Brillantina. In questo film c’è una scena ambientata in un drive-in, nella quale Danny invita Sandy per riconquistarla, ma per via dei suoi modi frettolosi la ragazza scappa via piangendo.
C’è poi The Founder, di John Lee Hancock (2017). La pellicola racconta la vera storia dell’imprenditore Ray Kroc e di come sia riuscito a impossessarsi il marchio McDonald’s dai due fratelli McDonald. Il film si apre proprio con una scena ambienta in un drive-in.
In American Graffiti di George Lucas (1973) il Mel’s drive-in è sullo sfondo della prima scena. In Nuovo cinema paradiso, di Giuseppe Tornatore (1988), Alfredo proietta un film sul palazzo di fronte davanti alla folla meravigliata. Non si tratta di un vero e proprio drive-in (non ci sono automobili), ma lo spirito è lo stesso.

La popolarità del drive-in raggiunse il massimo dopo la seconda guerra mondiale. Il drive-in offriva un diversivo alle famiglie, dove i genitori potevano portare i bambini senza preoccuparsi dei fastidi che potevano causare.
I drive-in non proiettavano film d’autore e tra i servizi era disponibile un angolo ristoro e un parco giochi dove i figli potevano correre se si annoiavano. E poi, le coppie potevano vedere un film e rimanere insieme amoreggiando.

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UN ALTRO FOTOGRAFO A TIENAMMEN

3 Giugno 1989. Il governo cinese invia le truppe per cacciare i manifestanti raccoltisi a Piazza Tienammen dopo quasi due mesi di occupazione.
Un manifestante cinese ferma una fila di carri armati a Chang’an Avenue, vicino a Piazza Tiananmen a Pechino. E’ il 5 giugno del 1989, un giorno dopo l’inizio della violenta repressione del governo cinese contro i manifestanti a Tiananmen. I carri armati cercarono di aggirarlo ma il ragazzo li bloccò più vote e alla fine salì su uno di questi per parlare brevemente con i soldati. Il ragazzo scese dal carro armato e venne allontanato da due persone che secondo alcuni erano manifestanti e secondo altri i servizi segreti cinesi. Non si è saputo più nulla di lui. Sono circolate voci mai verificate della sua esecuzione o del suo ricovero in un ospedale psichiatrico. Nel 1998 la rivista Time l’ha inserito nella lista delle 100 persone più importanti del secolo.

Esistono cinque versioni diverse di fotografie che documentano l'evento. Forse la versione più diffusa è quella scattata dal fotografo Jeff Widener della Associated Press dal sesto piano dell'hotel di Pechino, lontano all'incirca 800 metri, con una macchina fotografica dotata di un obiettivo da 400 mm e di un moltiplicatore di focale. Un'altra versione è quella del fotografo Stuart Franklin della Magnum. La sua fotografia è più ampia rispetto a quella di Widener, e mostra un numero maggiore di carri armati di fronte al ragazzo. Ne parlammo lo scorso anno.

Oggi ci occuperemo di Charlie Cole e dell’immagine che ha scattato, con una riflessione. Per quanto iconica sia diventata la sua fotografia, lo stesso fotografo arrivò a rinnegare la fama che raggiunse, perché oscurava gran parte degli altri scatti circa il massacro di piazza Tiananmen. «Jacques Langevin, Peter e David Turnley, Peter Charlesworth, Robin Moyer, David Berkwitz, Rei Ohara, Alon Reininger, Ken Jarecke e altri hanno contribuito alla documentazione storica più completa di ciò che è accaduto durante quella tragedia», ha detto Cole al New York Times. «Non dovremmo lasciarci indurre a una visione semplicistica e unica di questo evento incredibilmente complesso».

Il fotografo, riferendosi a colui che aveva fermato i carri armati, alla BBC nel 2005 ebbe modo di dire: «È stato lui a creare l'immagine; io ho soltanto scattato la foto».

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TERMINA LA BATTAGLIA DI DUNKERQUE

Il 4 giugno è una data importante della Seconda Guerra Mondiale: nel 1942 inizia la battaglia delle Midway, mentre nel 1944 le truppe alleate statunitensi guidate dal generale Mark Wayne Clark liberano Roma.

Sempre il 4 giugno, ma nel 1940, termina la battaglia di Dunkerque, iniziata il 26 maggio, durante la grande offensiva in Occidente scatenata dalle truppe tedesche nella prima fase della Seconda guerra mondiale.
La travolgente avanzata della Divisione Corazzata tedesca raggiunse rapidamente le coste della Manica, tagliando fuori in Belgio e nel nord della Francia l’intero Gruppo d’armate alleato: le migliori armate francesi e il Corpo di spedizione britannico. Con l’esercito accerchiato, Francia e Gran Bretagna ordinarono un ripiegamento verso le coste della Manica. Qui 400.000 soldati, vennero in gran parte evacuati via mare attraverso il porto di Dunkerque anche grazie a tante barche private che partirono dall’Inghilterra. L’esercito anglo-francese riuscì a sfuggire alla morte o alla cattura.
La riuscita evacuazione rappresentò uno straordinario successo per il Primo ministro inglese Winston Churchill: una stupefacente vittoria morale.
L’operazione fu chiamata “Dynamo”. Le navi inglesi affrontarono chilometri di mare, tra mine e attacchi aerei. Arrivano al porto francese di Dunkerque, dove caricarono migliaia di soldati. L’obiettivo del Governo era quello di salvare almeno 40 mila soldati durante i due giorni di evacuazione, ma ad attenderli su quelle spiagge ce ne erano 400 mila, tutti alla disperata ricerca di un posto sull’imbarcazione che avrebbe potuto salvarli. L’evacuazione di circa 400 mila soldati anglo-francesi rappresentò una vittoria inglese, che rinforzò il morale per affrontare i successivi eventi bellici.

Gli eventi di Dunkerque sono stati narrati in un film, Dunkirk (2017). Maggio, 1940; sulla spiaggia di Dunkirk 400.000 soldati inglesi si ritrovano accerchiati dall'esercito tedesco. Il piano di evacuazione coinvolge anche le imbarcazioni civili, requisite per rimpatriare il contingente. L’impiego delle navi militari assieme alle piccole imbarcazioni civili assicurò una "vittoria dentro la disfatta".

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE

Il bello dei libri è che spesso saltano fuori all’improvviso, un po’ come le fotografie. Quello di oggi lo abbiamo ritrovato liberando una casa, quella della madre di chi scrive. Ne approfittiamo per riprendere la rubrica “Fotografia da Leggere”. Il volume in questione è “Dalla mia Terra alla Terra”, di Sebastião Salgado (Edizioni Contrasto).

Il lavoro è strutturato come un racconto di viaggio, suddiviso in capitoli, tutti accompagnati da alcune fotografie iconiche. Del resto, nella sua vita Salgado è partito e ripartito più volte, con la curiosità di chi vuole vedere con la fotografia. Lo dice lui stesso in copertina: «Adoro la fotografia, adoro fotografare, tenere in mano la fotocamera, giocare con le inquadrature e con la luce. Adoro vivere con la gente, osservare le comunità e ora anche gli animali, gli alberi, le pietre. E un'esigenza che proviene dal profondo di me stesso. È il desiderio di fotografare che mi spinge di continuo a ripartire. Ad andare a vedere altrove. A realizzare sempre e comunque nuove immagini».

Dalla mia Terra alla Terra raccoglie le riflessioni scritte in prima persona da Sebastião Salgado: un lungo racconto orientato alla sensibilità ecologica del fotografo brasiliano in cui descrive la realizzazione dell'Istituto Terra in Brasile e il suo percorso di uomo e testimone del nostro tempo. Lo scrittore Salgado è capace di trascinare il lettore con una prosa coinvolgente, in paesi lontani che sono territori d’immensa bellezza ma anche di profonde ingiustizie. Le sue fotografie hanno fatto il giro del mondo. Nel libro fotografo ce le racconta: il bianco e nero di ritratti di uomini e donne sconosciuti, di lavoratori o rifugiati, e più di recente il suo progetto Genesi volto alla conservazione dei luoghi più belli del nostro pianeta. Con la semplicità che lo contraddistingue, Salgado ricostruisce il suo percorso, espone le sue convinzioni, ci rende partecipi delle sue emozioni. Viene fuori così il suo talento di narratore e l’autenticità di un uomo che sa coniugare militanza e professionismo, talento e generosità. All’interno del volume ci sono i racconti appassionanti dell’Africa, del Brasile, delle Americhe, del Mozambico e del Ruanda e poi ancora la nascita dell’Instituto Terra, del reportage Genesi, dall’agenzia Magnum Photos fino ad Amazonas Images. (Fonte: sinossi del libro).

Belle sono le parole che Isabelle Francq dedica al fotografo nella prefazione: «Guardare una foto di Sebastião Salgado non vuol dire solo fare l’incontro dell’altro, ma anche fare l’incontro di se stessi. Vuol dire fare l’esperienza della dignità umana, capire ciò che significa essere una donna, un uomo, un bambino. Probabilmente Sebastião nutre un amore profondo verso le persone che fotografa. Altrimenti non riuscirebbe a farcele sentire così presenti, vive e fiduciose? Come potremmo trovare quel senso di fraternità?».

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