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BUON COMPLEANNO GIANNI

Gianni Pezzani fotografo, all'anagrafe Giovanni Pezzani, nasce a Colorno il 18 giugno 1951. Lo abbiamo incontrato nella rubrica “Fotografia da leggere”, quando presentammo il libro “Inclassificabile”, a sua firma, edito dalla Nuova Editrice Berti (2023). Era il 22 gennaio di quest’anno.

Anni addietro (2016) ci è stata offerta la possibilità di intervistarlo. Eccone un riscontro, con le impressioni del dialogo intercorso.

L’incontro con Gianni Pezzani è cordiale e diretto. Abbiamo l’impressione che abbia voglia di parlare con noi, di fotografia e della sua vita: due elementi che sono difficili da separare nello scorrere del racconto che lo riguarda.
Laureato in Agraria, inizia a fotografare da giovanissimo. Ci dice di amare la stampa, a livello maniacale; e noi crediamo che questo rappresenti un sintomo e non soltanto un’esigenza primaria. Sì perché lui ama sperimentare e affidare i suoi sforzi a dei progetti a lunghissimo termine, messi in un cassetto e alimentati pian piano, in rapporto ai risultati. La stampa, forse, sottolinea un elemento terminale: suggerisce che un processo è terminato o che, quantomeno, le cose stanno andando per il giusto verso.

È anche il fattore tempo a emergere nei lavori di Gianni. «Senza ricordi non si è vissuto», ci dice; ma la ricerca del nostro va oltre la memoria, trasformando quel preciso istante in una connotazione in più. I suoi lavori sono storie affidate a chi guarda, dove il tempo diventa una dimensione aggiuntiva assolutamente facilitante. Non è quindi il fotografo a utilizzarla direttamente; piuttosto si tratta di una chiave di lettura affidata allo spettatore, comunque sempre presente nei lavori che abbiamo visto, persino nei più semplici.

Cosa ancora su Gianni Pezzani? Gli abbiamo riconosciuto una sensibilità infinita. Lui ama la notte, camminandoci dentro. Del resto, la fotografia la sente dentro di sé, vivendola come sentimento. La sperimentazione nasce anche da lì, come confronto con lo strumento: una messa in discussione che fu dei grandi. Gianni Pezzani è tra questi.

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PHILIPPE HALSMAN A MILANO

Abbiamo incontrato Philippe Halsman più volte e oggi ci occuperemo di una mostra che lo riguarda, esposta a Palazzo Reale, nella città di Milano, fino all’1 settembre 2024.

Lui era solito far saltare i suoi soggetti, per una ragione “logica”: «Ogni inibizione dovuta alla presenza dell’obiettivo viene annullata, perché l’attenzione è rivolta maggiormente al salto. Vengono così rivelati i veri tratti del viso». Philipp ha immortalato diversi personaggi illustri: Marilyn Monroe, Frank Sinatra, Dean Martin, Jerry Lewis, Muhammed Alì, Louis Armostrong.
Philippe Halsman è famoso per altri accadimenti, non solo legati alla rivista LIFE, per la quale ha prodotto più di cento copertine. Il fotografo, prima di approdare negli USA, era stato accusato di omicidio. Suo padre, infatti, morì in circostanze misteriose durante una gita in montagna. Philippe era con lui.

Il fotografo (Riga, 2 Maggio 1906 – New York, 25 Maggio 1979) ha comunque avuto una vita tormentata. Nasce da una famiglia ebrea, composta da un dentista e una preside di liceo. Nel settembre del 1928, durante una gita sulle Alpi Austriache, il padre Morduch muore in circostanze misteriose. Philippe venne accusato di omicidio e condannato per questo a quattro anni di reclusione. Tutta la propaganda anti ebraica era contro di lui e all'epoca il caso si diffuse sulla stampa di tutto il mondo. Molti si espressero a favore di Philippe, a sostegno della sua causa; tra questi ricordiamo A. Einstein e T. Mann. Venne rilasciato nel 1931, a condizione però che lasciasse il territorio austriaco.
Inizia per Philippe un lungo peregrinare. Si trasferì a Parigi, dove, come fotografo, collaborò con alcune riviste di moda. Ma l'invasione tedesca (1940) lo costrinse a fuggire ancora: prima a Marsiglia, poi negli USA; sempre con l'aiuto di A. Eistein.
Il caso di Philippe Halsman è stato ripreso da Martin Pollack quale elemento ispiratore per il romanzo “Assassinio del Padre”, il caso del fotografo Philipp Halsman (edizioni Bollati Beringhieri). Il libro è di assoluto interesse e molto preciso nella narrazione storica. Ne esce tutta l'Austria del momento ed anche il carattere del giovane Philipp. Ne consigliamo la lettura.
Philippe si era avvicinato alla fotografia, appassionandosi, all'età di tredici anni: essendo venuto per caso in possesso di una fotocamera. Ha studiato ingegneria.

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IL PRIMO OTTOVOLANTE

16 giugno 1884. A Coney Island (New York) entra in funzione il primo ottovolante, non per i brividi, ma con uno scopo panoramico. Gli avventori salgono su una carrozza che percorre circa 200 metri per arrivare da una torre all'altra, lentamente, con la sola forza di gravità.

Coney Island ci riporta alla memoria un film diretto da Woody Allen: La ruota delle meraviglie (Wonder Wheel), girato nel 2017 e ambientato negli anni ’50. La trama della pellicola è semplice. Ginny (Kate Winslet) lavora a Coney Island come cameriera. Dopo un matrimonio fallito e un figlio da crescere, si consola con Humpty (Jim Belushi), un uomo al quale deve nascondere le bottiglie di alcool perché non diventi violento.
L’equilibrio matrimoniale, già precario, subisce due scossoni: arriva Caroline (Juno Temple), la figlia di Humpty in fuga dopo il suo matrimonio finito con un gangster che le dà la caccia perché sa e ha visto troppe cose; Ginny invece vive un amore estivo con un bagnino più giovane di lei, Mickey (Justin Timberlake), che sogna di fare il drammaturgo e le ricorda i suoi anni migliori, quando faceva l’attrice. Caroline e Mickey s’incontreranno, il che complicherà le cose.

Coney Island è la location del film di Woody Allen. Appare come un set creato appositamente, mentre invece esiste davvero così come la vediamo nella pellicola. Le piccole storie di donne e uomini s’inseriscono perfettamente nella scenografia: da un lato ci sono sogni e speranze nella vita e nell’amore, dall’altra emerge la consapevolezza di inseguire qualcosa di artefatto, dove l’attesa è troppo grande per essere vera. Il cromatismo accompagna i sentimenti nel loro divenire, il che trasforma il film in un capolavoro. Il merito va attribuito anche a Vittorio Storaro (direttore della fotografia), alla sua seconda collaborazione con Allen.

Abbiamo cercato a lungo delle fotografie che potessero avvicinarci al primo ottovolante. Il fotografo Giulio Andreini ci ha inviato le montagne russe Cyclone di Coney Island, quelle sorte all’interno di uno dei più famosi Luna Park degli Stati Uniti, nato nel 1903. L’atmosfera è quella che volevamo.

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NASCE LA CELLULOIDE

15 giugno 1869: John Wesley Hyatt brevetta la celluloide, materiale flessibile, elastico, infrangibile e resistente all'umidità, ma anche infiammabile. E’ stata usata soprattutto come supporto per le pellicole fotografiche.

Abbiamo fatto cenno a John Wesley Hyatt quattro anni addietro, ma per celebrare il reverendo Hannibal Williston Goodwin, che il 13 settembre 1898 acquisiva il brevetto per la pellicola fotografica, ivi compreso il processo produttivo. Senza la scoperta della celluloide quel risultato non sarebbe stato possibile.

La pellicola ci riporta a un passato recente, fatto da rullini da 36. Ne apprezzavamo l’odore e anche la dentellatura. Tutti, almeno una volta, non l’abbiamo agganciata bene, così ci siamo meravigliati quando il conta pose segnava 40.
L’abbiamo osservata anche in trasparenza, la pellicola; soprattutto quando la sviluppavamo noi. Ne giudicavamo la qualità, già riconoscendo i soggetti. Oggi ne troviamo qualche bustina nei cassetti di casa, perché alla fine erano le stampe a passare di mano in mano.

C’è dell’altro, comunque. Ai tempi si guardava in piccolo (negativi e provini) per immaginare in grande. Il lentino ci aiutava, ma era il desiderio la nostra guida: quello nato durante lo scatto e mantenuto contagioso sino allo sviluppo. Il resto sarebbe arrivato dopo, in una stanza di fortuna (spesso un bagno) trasformata in Camera Oscura. La luce rossa (o verde) avrebbe aggiunto magia alla nottata. Perché sì, di tempo ne occorreva tanto: per poche stampe. E poi c’era il lavaggio dei lavori stampati e anche un riordino del locale preso in prestito.
Non vogliamo trasmettere nostalgia, perché anche il digitale restituisce quel mistero da svelare che è la fotografia. Conserviamo comunque i negativi, con la cura dovuta. Fanno archivio più dei file in un Hard Disk.

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