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PARIGI LIBERATA

La liberazione di Parigi, durante la seconda guerra mondiale, avvenne il 25 agosto 1944, con la resa della guarnigione tedesca al termine degli scontri iniziati il 19 agosto precedente con gli insorti locali francesi e le truppe degli Alleati arrivate in città.

La liberazione di Parigi fu uno degli eventi più significativi dei capitoli finali del conflitto, e segnò il termine del regime di Vichy e la restaurazione della Repubblica francese. Ci sarebbero però voluti altri nove mesi prima che l’esercito nazista si arrendesse definitivamente.

Gli storici fotografi Magnum hanno documentato questo cruciale evento dell’agosto 1944. Parliamo di Robert Capa e Henri Cartier-Bresson.
Il 19 agosto 1944 la Resistenza francese e le truppe alleate diedero inizio alla liberazione di Parigi, presto raggiunti dall’intera popolazione. “La strada per Parigi era aperta” ricordò più tardi Robert Capa “e tutti i parigini erano fuori per le strade, a toccare il primo carro armato, a baciare il primo soldato, a cantare, ballare e piangere".

Nel 1939 Henri Cartier-Bresson era stato arruolato nell’esercito francese come caporale, inserito nella unità addetta alle foto e alle riprese. Fu però catturato dai tedeschi l’anno successivo, e passò 35 mesi in un campo di prigionia. Dopo due tentativi di evasione andati a vuoto, riuscì finalmente a fuggire. Nel 1943 andò a recuperare la sua Leica, che aveva nascosto in una fattoria vicino ai Vosgi, e documentò – non ufficialmente – l’occupazione nazista di Parigi prima, e la sua liberazione poi.

Robert Capa aveva trascorso gran parte del conflitto come fotografo per l’esercito statunitense, catturando immagini indimenticabili dello sbarco in Sicilia e della guerra aerea. Aveva inoltre documentato il D-Day e all’alba del 25 agosto 1944 si era infine riunito con la seconda divisione corazzata francese nella strada per Parigi. Stando alla sua testimonianza, la divisione venne accolta già nei sobborghi della città – dove Capa aveva abitato a lungo prima del conflitto – da quello che definì “un benvenuto delirante”.

Nella notte, il generale Charles De Gaulle trasmise un discorso dall’Hotel de Ville, il Comune di Parigi, che fino a poco prima era stato occupato dal comando nazista.
«Parigi!» disse «Una Parigi oltraggiata. Una Parigi spezzata. Una Parigi martirizzata. Ma… una Parigi libera! Che si è liberata da sé, con l’aiuto delle armi francesi, con il supporto di tutta la Francia, la vera Francia, la Francia eterna».

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IL VESUVIO ERUTTA, POMPEI SCOMPARE

Il 24 agosto del 79 d. C. erutta il Vesuvio. Pompei è sommersa da cenere, lapilli e lava, divenendo, da allora, il teatro dell’evento eruttivo, un luogo dove gli istanti degli avvenimenti rivivono alla vista, complici i tanti corpi trasformati in statue, irrigiditi nell’ultimo tentativo di sopravvivere alla polvere e alla lava.

Arriviamo alla fotografia. Kenro Izu, autore giapponese di Osaka (1949), ci propone un lavoro originale su Pompei, poi diventato libro (Requiem, Skira Editore 2020). Il volume narra una storia e restituisce vita e dignità a quanti morirono per l’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C., incapaci di reagire di fronte a tanta improvvisa violenza. Con caparbietà ostinata, Izu ha allestito i corpi dei fuggitivi (trasformati dalla lava incandescente in statue eterne) nelle varie case come negli esterni di Pompei ed Ercolano. I corpi rattrappiti che scopriamo nelle stanze o lungo i corridoi lastricati ci colgono impreparati perché li vediamo dove, forse, l’eruzione li sorprese, inermi e abbandonati dopo aver cercato invano un rifugio. Quella di Izu, quindi, non è una rilettura storica per immagini di un evento catastrofico, piuttosto diventa un omaggio alla gente di Pompei ed Ercolano.

Le suggestive immagini del fotografo giapponese, tra spiritualità e reperti archeologici, ci hanno indotto a rileggere una testimonianza dell’epoca: quella di Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto anche Plinio il Giovane per distinguerlo dall’omonimo zio Plinio il Vecchio. Plinio “secondo” aveva diciotto anni. Suo padre era morto quando era ancora bambino e in seguito era stato adottato dallo zio, il rinomato scrittore e naturalista di Como che al tempo dell’eruzione del Vesuvio si trovava sul Golfo di Napoli come prefetto della flotta imperiale romana all’ancora presso Miseno.
In una lettera inviata da Plinio allo storico Tacito vengono trascritte le testimonianze circa la morte di Plinio il Vecchio. Questi si era recato a Ercolano per andare ad aiutare la famiglia di un amico, ma dovette cambiare rotta a causa del ritiro improvviso delle acque. Si diresse così verso Stabia, dove approdò; facendosi ospitare da Pomponianus. Anche quella cittadina venne colpita dalle ceneri e lapilli del vulcano. I vapori tossici soffocarono Plinio il Vecchio che lì trovò la morte.

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EDGAR LEE MASTERS

Il 23 agosto 1869 nasce Edgar Lee Masters. Lui è famoso per l’Antologia di Spoon River (Spoon River Anthology), una raccolta di poesie che il poeta statunitense pubblicò tra il 1914 e il 1915. Queste raccolgono gli epitaffi, raccontati dagli stessi defunti, di un’immaginaria cittadina Usa. Ciò che contraddistingue i personaggi di Masters è che, essendo per la maggior parte deceduti, non hanno più nulla da perdere e quindi possono “raccontarsi”, confessando con assoluta sincerità i loro peccati, le loro ambizioni, i propri amori.
C’è un’antologia anche di casa nostra, per certi aspetti simile a quella “americana”. Porta il titolo di “Un Paese”, e ha come protagonista Luzzara (paese natale di Cesare Zavattini) e i suoi abitanti, immortalati dalla fotocamera del fotografo statunitense Paul Strand.
Il volume uscirà nel 1955, realizzando uno scambio tra fotografia americana degli anni Trenta (in particolare quella della East Coast) e neorealismo italiano. Le foto dei luoghi e soprattutto della gente di Luzzara sono corredate da didascalie basate sui racconti degli stessi abitanti, raccolte da Zavattini. Quello che emerge è una sorta di Antologia di Spoon River italiana, con le parole dei soggetti stessi, che si raccontano, immortalati in quelle che sembrano autentiche lapidi scolpite nella memoria. (Fonte, Fondazione Un Paese – Luzzara).
Riportiamo una poesia dall’Antologia di Spoon River e riguarda la fotografia.

Penniwit, l'artista

Perdetti la mia clientela di Spoon River
perché tentai di far entrare il cervello nella camera oscura
per afferrare l’anima della gente.
La miglior fotografia che io abbia mai fatto
fu quella del giudice Somers, procuratore.
Egli sedette ben dritto e mi fece attendere
finché riuscì a raddrizzare l’occhio storto.
Poi quando fu pronto, disse: “Pronto”.
Ed io gridai: “Respinto”, e il suo occhio si girò.
E lo colsi proprio come era solito guardare
quando diceva: “Mi oppongo”.

Una curiosità. Fabrizio De André ha inciso un LP liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Si tratta di “Non al denaro non all’amore né al cielo”, pubblicato nel 1971.

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HENRY CARTIER BRESSON

Il 22 agosto 1908 nasce a Parigi Henry Cartier Bresson, il maestro dell’istante. Suo è questo aforisma: “È un’illusione che le foto si facciano con la macchina… si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa”. La frase che racchiude l’essenza del lavoro di Cartier Bresson, lo stile inconfondibile, il suo approccio con la macchina fotografica: lo strumento dell’intuito e della spontaneità.

Bresson proviene da una famiglia agiata, che comunque gli restituirà un rapporto controverso col denaro. A quel tempo possiede, come tanti altri bambini, una Brownie-Box, che usa per riempire piccoli album di ricordi delle vacanze. Poi, agli inizi degli anni Venti, comincia a praticare la fotografia amatoriale.
Sboccia poi la passione per l’arte, grazie anche a uno zio pittore che avrà un grande ascendente su di lui e a diciotto anni s’iscrive all’Accademia di pittura di André Lhote, pittore vicino ai cubisti che, accanto alla pittura, aveva sviluppato anche un importante lavoro di teorico e critico d’arte.

Come per tutti i grandi, anche lui avrà un episodio che lo segnerà profondamente: un viaggio in Costa d’Avorio nel 1930, una partenza improvvisa, dovuta forse al desiderio di uscire dal bozzolo famigliare e rompere con l’insegnamento di Lhote che considerava troppo teorico. Lo scopo del viaggio non era stato quello della fotografia, ma al suo ritorno nel 1931, un libro di fotografie di Martin Munkacsi, che contiene una fotografia di tre bambini di colore che corrono a buttarsi nel lago Tanganica, sarà per Henry una vera e propria rivelazione. In quell’immagine c’era tutto: la grazia compositiva, la dinamica, l’intensità, il contrasto.
“Ho capito improvvisamente che la fotografia poteva fissare l’eternità in un attimo” dirà più tardi. Distrugge le sue tele e comunica al padre il desiderio di diventare fotografo.
Bresson avrebbe tentato anche la via del Cinema. Giusto come curiosità, lui fu uno dei due assistenti nel film “La scampagnata” di Renoir, assieme a Luchino Visconti.

Il suo lavoro lo porterà a girare il mondo e diventerà, ben presto, uno dei fotografi più amati e conosciuti di tutti i tempi, oltre che il precursore del fotogiornalismo. Il suo talento è immenso, così come pure la sua perfezione compositiva.
Secondo lui non erano necessari grandi mezzi, anzi, è da un’economia di mezzi che si arriva alla semplicità di espressione, perché è molto più utile “osservare lì, dove gli altri sanno solo vedere “ e saper pazientare in attesa “dell’istante decisivo”.
Sapeva comprendere l’importanza attraverso l’essenza, percepire l’energia di un luogo, l’atipicità di un momento, l’espressività di uno sguardo, ma soprattutto aveva la capacità, tutta istintiva, di sapere quando è il momento di aspettare il guizzo visivo e archiviarlo nella memoria della sua fotocamera.

Di Bresson si è detto molto e sicuramente ne hanno parlato voci più autorevoli di noi. Quando ci occupiamo di lui, però, proviamo un forte senso di rispetto, ed anche di gratitudine. Siamo convinti che la diffusione della fotografia sia stata generata da vari fattori: il piccolo formato (del quale Bresson fu un fautore) e anche l’industria; entrambi hanno popolarizzato la passione per il Click. HCB, però, ha fatto sì che molti seguissero un indirizzo, un atteggiamento, persino un pensiero fotografico. Senza di lui forse non sarebbero esistiti tanti professionisti e, probabilmente, molti di noi non sarebbero qui a godere della fotografia, come facciamo adesso.

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