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LA RETORICA DI ROCKY E RAMBO

Sylvester Stallone (nato il 6 luglio 1946) ha sempre recitato con i suoi muscoli, quelli buoni, definiti, non violenti. Nei film, difficilmente lo abbiamo visto sorridere, perché lui si trovava sempre in difficoltà: come pugile e soldato, nel morale, nelle circostanze e nella visione delle cose.

Inutile negarlo, Rocky e Rambo, per via dei tanti sequel, hanno occupato le nostre vite, con successo; al di là delle tante critiche di circostanza. I due personaggi sono onesti, schietti, semplici, facili da riconoscere. Ecco quindi che il salotto di casa, per una sera, può ospitare le vicende di Rambo, il soldato che avrebbe voglia di vincere: in guerra e nella vita. La sua esistenza però è difficile, perché ex combattente, mal voluto in patria. I suoi dialoghi sono espliciti: «Io amo il mio paese, morirei per lui. Vorrei che ci amasse come noi l’amiamo».

Combatterà anche in patria, il nostro reduce, braccato dall’esercito. Gli verrà in soccorso il suo comandante, il colonnello Trautman, che però metterà in guardia gli altri: «Quello che voi chiamate inferno, lui lo chiama casa».
Chi è a capo dei braccanti esprime delle perplessità circa la sopravvivenza di Rambo: «E vorrebbe dirmi che 200 uomini contro il suo Marine sono nella posizione di non poter vincere?». «Se ci manda tanti uomini», risponde Trautman «Non dimentichi una cosa», «Che cosa?», chiede l’altro. «Una buona scorta di barelle».

Del resto, che dire? «Dio perdona, io no», urla Rambo in un film. E poi, è in grado di curarsi le ferite da solo con dei punti di sutura. Il clima è surreale, ingenuo, quasi incedibile; ma forse piace per questo, perché il fiato non rimane sospeso, in attesa di un finale retorico, scontato, comunque lieto. Questa è la forza di Rambo.
A rivedere oggi i suoi film emerge qualche crepa. Manca il Vietnam, il suo ricordo; con i reduci ormai invecchiati e non più credibili. Sarebbe necessario un preambolo, ma a che pro?

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NASCE JEAN COCTEAU

Jean Cocteau nasce il 5 luglio 1889 a Maisons-Laffitte, vicino Parigi. E’ stato un poeta, librettista, romanziere, attore, regista e pittore francese.
Oggi incontreremo tre personaggi di rilievo: un artista e due fotografi; ma soprattutto sentiremo parlare (poco, a dire il vero) di Parigi, la città che li ha accomunati.

Cocteau è cresciuto a Parigi e si è sempre considerato parigino per linguaggio, educazione, idee e abitudini. La sua famiglia apparteneva alla solida borghesia parigina: colta, ricca e interessata alla musica, alla pittura e alla letteratura.
Cocteau fu il prodotto degli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, quelli dal gusto artistico raffinato, privi di disordini politici. La sua vera esplorazione del mondo del teatro iniziò quando incontrò i Ballets Russes, allora sotto la direzione di Sergey Diaghilev.

Durante la prima guerra mondiale, Cocteau prestò servizio come autista di ambulanze sul fronte belga. Il paesaggio che osservò fu utilizzato nel suo romanzo Thomas l'Imposteur (1923). Divenne amico dell'aviatore Roland Garros, al quale dedicò le prime poesie ispirate all'aviazione (1919; Il Capo di Buona Speranza). A intervalli nel corso degli anni 1916 e 1917, Cocteau entrò nel mondo dell'arte moderna, che nasceva allora a Parigi; nel quartiere bohémien di Montparnasse, incontrò pittori come Pablo Picasso e Amedeo Modigliani e scrittori come Max Jacob e Guillaume Apollinaire.

La dipendenza dall'oppio, provocata dal dolore di Cocteau per la morte della sua amante, richiese un periodo di cura. Jacques Maritain, un filosofo francese, fece la sua prima visita a Cocteau nel sanatorio. Attraverso Maritain, Cocteau ritorna brevemente alla pratica religiosa. Queste complesse esperienze diedero inizio a un nuovo periodo della sua vita, durante il quale realizzò alcune delle sue opere più importanti.
Il romanzo Les Enfants terribili, scritto nell'arco di tre settimane nel marzo 1929, è lo studio dell'inviolabilità del carattere di due adolescenti, il fratello e la sorella Paul ed Elisabeth. Nel 1950 Cocteau preparò la sceneggiatura di un film su quest'opera, e fu anche il narratore del film.

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NASCE VITTORIO ALINARI

Vittorio Alinari nasce a Firenze il 4 luglio 1859. Prima di parlare di lui e della storia della sua famiglia, occorre soffermarsi su due notizie importanti.

Il 4 luglio 1776 il Congresso continentale, ossia l’assemblea dei 56 delegati provenienti dalle 13 colonie britanniche in terra d’America (New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia) adottò la Dichiarazione di Indipendenza, eliminando ogni vincolo di dipendenza politica dalla Gran Bretagna. Nascono gli USA. Gli inglesi riconobbero l’autonomia statunitense nel 1783 e nel 1787 la Convenzione di Filadelfia adottò l’attuale Costituzione degli Stati Uniti.
Una curiosità: a Filadelfia la squadra di basket (milita nella NBA) porta il nome Philadelphia 76ers a memoria del 4 luglio 1776.

Il 4 luglio è una data importante anche qui da noi, soprattutto per gli appassionati di fotografia: nasce Ferdinando Scianna. Lui si avvicina alla fotografia negli anni sessanta, raccontando con le immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Col tempo, arriveranno l’attualità, la guerra, la notizia, la gente, la moda; ecco quindi Bagheria e le Ande Boliviane, con quel lungo sentiero dal quale ha saputo raccontare, sempre, con lucidità e rigore. Fanno da contrappunto, nel suo corpus fotografico, i ritratti dei suoi amici, maestri d’arte e di cultura: Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges e tanti altri.
Di Scianna ammiriamo anche gli scritti, i tanti libri di saggistica dedicati alla fotografia e al suo mondo. Del suo parlare con la penna ci piace l’idea, lo stile, la cultura, le riflessioni indotte. Come con le immagini, Lui ci accompagna fino all’ultimo chilometro, per poi lasciarci da soli sul sentiero della comprensione.
Grazie Ferdinando, auguri.

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RITORNO AL FUTURO

3 luglio 1985. Esce nelle sale cinematografiche statunitensi il film Ritorno al Futuro.

Ritorno al futuro (Back to the Future) è un film diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Michael J. Fox e Christopher Lloyd. Primo episodio della trilogia omonima, è considerato un’icona del cinema degli anni ottanta e ha riscosso un enorme successo a livello internazionale. La pellicola ha ricevuto il premio Oscar al miglior montaggio sonoro (forse un po’ poco). Nel 2007 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Nella colonna sonora spicca un brano di Huey Lewis and the News: “The Power of Love”, presente più volte all'inizio della pellicola. Durante il film, il cantante Huey Lewis appare in un fugace cameo, nel ruolo del professore che sceglie i gruppi che suoneranno alla festa della scuola. Ironicamente, il professore boccia l'audizione di Marty, che gli propone proprio una sua versione di “The Power of Love”. «Mi dispiace ragazzi, siete troppo rumorosi», dice Huey. Nel film c’è anche un cameo musicale di Eddie Van Halen, il chitarrista dei Van Halen: l’assolo di chitarra con cui Marty spaventa suo padre durante la notte (negli anni ’50) è del musicista, che l’ha realizzato appositamente per il film.

Come in ogni film americano che si rispetti (peraltro con lo zampino di Steven Spielberg nella produzione), tutto funziona: sceneggiatura, fotografia; ma anche scelta degli attori, dialoghi, camei, musica, ironia precisa e ben motivata. Il viaggio temporale c’è, importante peraltro. Marty andrà a incontrare i genitori, giovanissimi ma già delineati, nel carattere, per come li ha conosciuti nella vita reale. Riuscirà anche a modificarne il destino, per un finale lieto, già volto al futuro.

C’è l’America degli anni ’50, nel film: quella di Happy Days, per intenderci; o anche quella delle periferie lussuose (le suburbia, come nel progetto fotografico di Bill Owens, uno dei più grandi autori negli USA del dopoguerra). E quegli anni “americani” piacciono, ancora oggi; perché forse da noi non li abbiamo mai visti, impegnati com’eravamo nell’alimentare il boom economico, mentre ci raccontavamo con il neorealismo.
C’è tanto dell’altro, nel film; e lo si scova lentamente. Marty, alla festa della scuola dei suoi genitori (giovani) suona Johnny B. Goode, di Chuck Berry. Il sound è nuovo, per i tempi; e un membro del complesso telefona a suo cugino per parlargli della novità, chiamandolo appunto Chuck. Non solo, la scritta CRM114 che si vede su un amplificatore per chitarra (a inizio film), è un omaggio al film di Stanley Kubrick “Il Dottor Stranamore”, che aveva una radio con lo stesso nome ed era uno dei film preferiti di Robert Zemeckis.

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