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I MISTERI DI USTICA

Il 27 Giugno 1980, un aereo dell’ITAVIA decollerà dall’Aeroporto di Bologna con due ore di ritardo, destinazione Palermo. In prossimità di Ustica, non darà più traccia di sé; verrà così a realizzarsi uno dei tanti misteri “italici”, fatti di piombo e verità nascoste.

Proponiamo una fotografia dell’aereo, che non è quella di un velivolo simile, ma proprio di quello che si è inabissato nel Mediterraneo. Lo scatto è stato realizzato a Basilea otto anni prima rispetto al fattaccio. L’impatto dell’immagine è comunque forte, pur esprimendo, fotograficamente, soltanto un buon equilibrio formale (meglio sarebbe stato riprendere il mezzo da un tre quarti anteriore). Ciò ci riconduce ai valori della fotografia, che se deve raccontare ha comunque l’obbligo di farlo con responsabilità. Una volta impressa su carta, infatti, essa è in grado di accumulare tutte le sensazioni che i guardanti hanno messo insieme nel tempo.

Nel 2012, a Luglio, la cantante Patti Smith ha sostenuto un concerto per ricordare le vittime, di fronte al museo che conserva il relitto del velivolo (siamo a Bologna). “Because the Night” (la canzone scritta assieme a Bruce Springsteen e contenuta nell’album Easter) è diventata una sorta di inno.

Because the night belongs to lovers
Because the night belongs to lust
Because the night belongs to lovers
Because the night belongs to us

La notte appartiene anche a chi non c’è più.

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ICH BIN EIN BERLINER

26 giugno 1963. John Fitzgerald Kennedy pronuncia il discorso restato nella memoria storica per la frase "Ich bin ein Berliner", "Io sono un Berlinese". Le parole del Presidente USA risuonano nella piazza di Berlino Ovest di fronte al municipio di Berlino Est, e sono dirette sia ai sovietici che agli abitanti di Berlino, come chiara dichiarazione della politica statunitense in risposta alla costruzione del muro di Berlino.

Il 1963 è un anno ricco di eventi, da noi e altrove. L'Italia è un paese in bianco e nero, un po' bigotto, ma pieno di speranze e ottimismo. Non mancano i fermenti culturali, e passano per il cinema dei grandi maestri (Pasolini, Rosi, Visconti...). Gli italiani hanno già iniziato a comprare automobili e TV, e assistono da spettatori ai grandi eventi, dalla morte di Giovanni XXIII (il Papa buono) al disastro del Vajont. La sera si guarda Carosello, dove, sempre nel 1963, fa il suo esordio Calimero, un piccolo pulcino, tutto nero, dai connotati quasi razzisti. Al termine di ogni spot, pronuncia queste parole: «Tutti se la prendono con me perché sono piccolo e nero». Una voce fuori campo dirà: «Tu non sei nero, sei solo sporco», e si vede una mano che immerge il piumato nel detersivo, facendolo diventare bianco. Lasciamo perdere i riferimenti.

Nel 1963, Martin Luther King pronuncia il celebre "I have a dream".
Il 22 marzo esce il primo album dei Beatles. L'era del rock era già iniziata, eppure i fab four avrebbero acceso una rivoluzione musicale e culturale senza precedenti.
Sempre nel 1963, viene siglato un accordo tra USA, URSS e la Gran Bretagna per la sospensione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera, che però sarebbero continuati sotto terra.
Il 12 gennaio 1963 Bob Dylan cantava in anteprima assoluta il brano "Blowin’ in the wind". E’ la sua canzone iconica, immortale, eseguita con la chitarra acustica e un’armonica a bocca, in semplicità. I pochi versi, ricchi di profondità, si compongono di domande dalle risposte irrisolte, perché: «The answer, my friend, is blowin’ in the wind». La risposta, sussurra nel vento, aleggia nel vento, è portata dal vento; e non si sa se verrà raccolta da qualcuno.

Sempre nel ’63, il 22 novembre, a Dallas viene assassinato il Presidente americano John F. Kennedy (il suo incarico viene assunto dal vicepresidente Lyndon B. Johnson). Muore il berlinese.

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MENDEL GROSSMAN, LE FOTOGRAFIE DEL GHETTO

Quella che incontriamo oggi è la storia di un uomo e del suo desiderio di sopravvivere e far conoscere le sofferenze della sua gente. Grossman, fotografo imprigionato a Lodz, ha scattato e sviluppato di nascosto le fotografie della vita in prigionia. Il suo racconto fotografico dimostra che ogni persona può contribuire a cambiare le situazioni, persino in circostanze drammatiche; che ciascuno di noi ha il potere di trasformare le proprie esperienze, per quanto orribili, in qualcosa di positivo e che la libertà è di fondamentale importanza per l'uomo.

Mendel Grossman è nato il 25 giugno 1913 a Gorzkowice, da una famiglia ebrea (alcune fonti parlano del 27 giugno quale data di nascita). I suoi genitori erano Szmul Dawid Grossman e sua moglie Hanna. Dopo la prima guerra mondiale la sua famiglia si stabilì a Lodz e visse in via Wschodnia 58.

Nella sua prima giovinezza iniziò a disegnare ritratti e scene di vita ebraica. Ha iniziato a fotografare dapprima come dilettante, poi è diventato fotografo professionista. Mendel colorò persino le immagini utilizzando colori all'anilina.
Negli anni '30 entrò in contatto con il Teatro ebraico di Lodz, fotografando scene degli spettacoli e ritratti di attori e attrici. Conobbe anche numerosi scrittori, poeti, musicisti e pittori. All'inizio del 1940, i nazisti fondarono un ghetto nella città di Litzmannstadt (il nome tedesco di Lodz) e Mendel e la sua famiglia vivevano a Marynarskiej 55.

Trovò lavoro come fotografo. Realizzava carte d'identità e documentava il lavoro svolto dai detenuti ebrei nel ghetto. Il Consiglio Ebraico degli Anziani pensava che queste fotografie avrebbero convinto le autorità naziste a trattare gli ebrei con più gentilezza, perché le fotografie dimostravano come fossero operosi. Durante il giorno Grossman nascondeva la macchina fotografica nel cappotto e scattava fotografie circa le condizioni di vita nel ghetto. Correva un grande rischio per se stesso, non solo perché la Gestapo sospettava di lui, ma anche per il fatto che soffriva di cuore.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE

Ci sono fotografi che sarebbe stato bello incontrare personalmente: non per conoscerne le metodiche o il perché di alcune immagini; semplicemente al fine di condividere atteggiamenti e approcci, la chiave di lettura del linguaggio che gli è proprio.
Ivo Saglietti sarebbe potuto essere uno di questi. Lo abbiamo anche intervistato un giorno, poi è volato via: inopinatamente e all’improvviso.

Il libro che proponiamo oggi lo riguarda direttamente. Si tratta di: “Ivo Saglietti, Lo sguardo inquieto, Un fotografo in cammino”, a cura di Federico Montaldo, edizioni Postcard.
Ecco cosa leggiamo nella sinossi del volume: «La fotografia era la sua vita e la sua vita era la fotografia. Ha sempre negato che fosse una “missione” (termine che non gli piaceva se applicato al proprio lavoro). Non amava molto neanche il termine “professionale”, troppo asettico e distaccato. Per lui la fotografia era “mestiere”. Mestiere nel senso più alto del termine, che ha a molto che fare con un servizio non volto soltanto al guadagno personale, ma piuttosto con un’attività indispensabile al servizio della comunità. Era il mestiere di Reporter Photographe, come amava definirsi. In francese. Perché la Francia è il luogo dove era nato e dove è sempre rimasto un pezzo del suo cuore. [...] (Federico Montaldo).

Sempre nella sinossi viene affrontato il tema della lentezza, a noi molto caro: «Camminare lentamente. Questo è il titolo di un capitolo del libro che abbiamo fatto insieme, ma che avrebbe potuto essere il titolo dell’intero volume. È quasi un’epigrafe, che riassume il senso di una vita e di un percorso umano e professionale a un tempo. Ivo voleva capire. E per capire occorre muoversi adagio, soffermarsi, entrare nelle situazioni; capire per raccontare l’Uomo e il suo destino. È questo l’enigma che, pur da non credente, ha ricercato per tutta la sua vita». (Federico Montaldo).

Lo sguardo inquieto è un libro di fotografie (tante), storie e ricordi di Ivo Saglietti. Nasce per volere di Federico Montaldo – appassionato di fotografia e fotografo. Il loro dialogo ha generato questo volume. In esso viene raccontato il cammino del fotografo: il suo spirito da viaggiatore, la sua curiosità, la sofferenza da affrontare in qualità di testimone oculare. Emerge poi passione per la letteratura (una compagna di viaggio) e quella cultura visiva cresciuta guardando i film o ascoltando i dischi su un piatto.

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