PAOLO MONTI, VISIVO VISIONARIO
Riprendiamo una notizia di quattro anni addietro. L’11 agosto 1908 nasce paolo Monti. Di lui ci sono piaciuti la vita, l’impegno, la dedizione alle cose. Piemontese di nascita (Novara), già in famiglia conosce la fotografia a livello amatoriale. Gli studi lo portano alla Laura in Economia e lo indirizzano a una brillante carriera manageriale. A Venezia Monti fonda il circolo fotografico la Gondola (1948), contribuendo in maniera radicale alla nascita di una scuola italiana e al rinnovamento della fotografia di casa nostra.
Dal 1953 si occuperà solo della sua passione, collaborando con la Triennale e con le principali testate fotografiche dell’epoca.
Sarà docente di fotografia prima all’Umanitaria di Milano, poi all’Università di Bologna.
Siamo nel 1946, in un negozio che i fratelli armeni Pambakian hanno aperto a due passi da piazza San Marco. Lì Monti incontra altri appassionati. Quell’intellettuale raffinato che ama ugualmente la fotografia umanista di Robert Doisneau, Henri Cartier-Bresson, e il reportage americano di Eugene Smith, è destinato a diventare nel 1948 il primo segretario del neonato gruppo “La Gondola”, che avrebbe costituito una parte significativa della storia della fotografia italiana del dopoguerra. Tra l’altro, Monti sarebbe diventato il punto di riferimento di autori quali Gianni Berengo Gardin, Cesare Colombo o Fulvio Roiter.
A livello didattico, Monti lascia una traccia significativa circa il metodo. Nei suoi corsi di fotografia una delle prime lezioni è quella che riguarda il punto di vista. Non si tratta di una lezione di carattere solamente teorico, ma di una serie di esperienze pratiche che cercano offrono agli allievi un substrato d’ordine culturale, una precisa consapevolezza delle ragioni del proprio operare.
Come fotografo, Paolo Monti è affascinato dall’architettura. Non dimentica mai la ricerca, però, che approda anche a immagini astratte a colori con cui inaugura, nel 1967 a Milano, la famosa Galleria il Diaframma. Presentando quella mostra scrive: «Penso che in sostanza un fotografo debba essere più che un visivo un visivo visionario».