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UN ATLETA, UN FOTOGRAFO

Le Olimpiadi imminenti quasi ci invitano a parlare di sport, riprendendo un episodio accaduto alle Olimpiadi di Londra del 1908. Ci sarà comunque spazio anche per la fotografia, per una news che diventa doppia.

24 luglio 1908 – Il maratoneta Dorando Pietri, stremato dalla fatica, taglia per primo il traguardo della maratona alle Olimpiadi di Londra 1908 sorretto da due giudici di gara: per questo aiuto verrà poi squalificato e perderà la medaglia d'oro, ma riceverà comunque le lodi da parte degli spettatori.

Dorando Petri, all'anagrafe Pietri (Correggio, 16 ottobre 1885 – Sanremo, 7 febbraio 1942), un panettiere di Carpi, gareggiò nella corsa più importante dei giochi. Dorando entrò per primo nello stadio Olimpico, ma iniziò il giro della pista d'atletica nel verso sbagliato. I commissari gli fecero riprendere la giusta direzione, ma Dorando Petri, stanchissimo, iniziò a cadere più volte. I commissari, incitati dal pubblico, aiutarono Petri a rialzarsi, che così tagliò il traguardo con diversi minuti di vantaggio sul secondo.
Hayes, arrivato secondo, presentò ricorso e vinse. Agli occhi di tutti, Regina compresa, parve una ingiustizia immane. Per questo motivo la regnante stessa pensò di donare una coppa d'oro all'italiano, e così fu.
Per l'italiano ci furono le occasioni per la rivincita. Il 25 novembre 1908, al Madison Square Garden di New York, Petri riuscì a vincere, distaccando Hayes negli ultimi 500 metri. La sfida fu ripetuta l'anno successivo, con lo stesso esito.
Un cuore grande, quello di Dorando; che lo tradì a 56 anni con un infarto.

Il fotografo Libero Tosi

Il 24 luglio 1902 nasce Libero Tosi, a Guastalla. Ultimo di cinque figli frequenta corsi di disegno e fotografia presso il maestro decoratore Masetti, allora direttore della Scuole d’Arte di Guastalla. Esordisce come professionista nel ’19, a diciassette anni, quando fonda con Plinio Zani lo “Studio Artistico Fotografico Tosi & Zani” in quel di Gualtieri, paese che ospitò Ligabue e dove Benito Mussolini insegnò come supplente.

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VIETATA LA CACCIA ALLE BALENE

23 luglio 1982. La Commissione internazionale per la caccia alle balene decide che entro 1986 sia vietata la cattura per fini commerciali di questi cetacei. Questo trattato è risultato troppo blando, visto che si contano migliaia di uccisioni.

Parlare di balene ci apre la fantasia ai ricordi. La memoria approda subito a Moby Dick (Moby-Dick; or, The Whale) il romanzo scritto da Herman Melville (1851). C’è poi Pinocchio, con una visione più intima del cetaceo.
I viaggi ci hanno portato vicino alle balene. Ricordiamo il whale watching sul fiume San Lorenzo, in Canada; ma il meglio doveva ancora venire.

E’ stata l’Argentina a regalarci la sorpresa maggiore, vicino a Puerto Madryn (una piccola Rimini, un po’ decadente). Lì dalla costa emerge la Penisola di Valdès e già per arrivarvi è possibile incontrare lama della Patagonia, struzzi, armadilli, lepri patagoniche ed europee, oltre ad innumerevoli specie di uccelli stanziali e migratori: albatros, petrelli, cormorani e gabbiani. E’ la promessa argentina a prendere corpo, quella invocata dal libro “In Patagonia” di Bruce Chatwin. Sulle spiagge della costa, generalmente nel secondo semestre dell’anno, si possono ammirare le balene. Chi scrive si è recato là due volte: in agosto e a ottobre, il periodo migliore per il whale watching. Lì decine di cetacei si avvicinavano giocando con le imbarcazioni. Il tele era di rigore, ma un 70-200 andava benissimo, perché la coda era vicina, che quasi la si poteva toccare.

Circa la fotografia, abbiamo scelto un’immagine di Sebastião Salgado, tratta dal ibro Genesi (Ed. Taschen). Il volume è in bianco e nero, e rappresenta il risultato di più di 32 viaggi in giro per il mondo. Essendo andato dove nessun uomo era mai giunto prima, il fotografo definisce Genesi la sua personale lettera d’amore alla Terra.

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WILLEM DAFOE, BRAVO E VERSATILE

Attore dall'espressività singolare, Willem Dafoe si è imposto nell’universo di Hollywood come uno degli attori più versatili oggi in circolazione, capace di spaziare dalle pellicole più commerciali a quelle maggiormente legate a progetti autoriali.

Lo ricordiamo nel film Platoon, diretto da Oliver Stone partendo dalla propria esperienza di volontario nel conflitto.
La trama riguarda le vicende di una giovane leva, che come prima cosa appena sbarcato all'aeroporto vede i sacchi con i cadaveri in partenza. Inizia così un viaggio nella paura, in un crescendo di esasperazione, con la presa di coscienza, al momento di ripartire, che il Vietnam è stato l'inferno. La giovane recluta dirà: «Non abbiamo combattuto contro il nemico, abbiamo combattuto contro noi stessi. E il nemico era dentro di noi».

È un film di dilemmi morali portati nella concretezza. Stone immerge la macchina da presa dentro il plotone, fa sentire la guerra dall'interno, guarda raramente l'insieme, piuttosto come ci si sente a stare nel fango, nel buio, tra gli alberi, magari sotto il tiro del nemico o degli stessi compagni d'armi. C'è anche il tentativo di difendere la propria umanità e integrità, non farsi accecare dalla rabbia, non cedere alla violenza gratuita sui civili.

Platoon ci presenta un Vietnam vero. Una recluta parte volontaria e scopre a sue spese gli orrori del conflitto. Capirà anche che l'America in realtà è in guerra con se stessa. Si tratta di un film fatto da chi in guerra c'è stato davvero, e il fatto emerge durante la visione. Mancano i patriottismi e i moralismi: il conflitto è sullo schermo e sembra di esserci dentro, di poter respirare la polvere del Vietnam.

Il film dove recita Willem Dafoe, Platoon appunto, a nostro giudizio è il migliore del genere. Non si alza alcun sipario sulla guerra e mancano i personaggi surreali. Chi combatte, nella pellicola, non distingue più il bene dal male. La patria è lontana, non più definita. Restano i dilemmi, svelati nella loro cruda durezza.

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CHRISTIANO JUNIOR FOTOGRAFO

Prima di parlare del fotografo delle Azzorre, permetteteci qualche sguardo a ritroso su quanto già incontrato. L’estate è una stagione vacanziera, pigra, fatta anche di riflessioni, sul tempo e sull’età, come direbbe un noto cantautore. Quella del 1969 fu ricca di eventi che diventarono storia: dal primo allunaggio (20 luglio) al concerto di Woodstock (15-18 agosto). L’uomo camminava sulla luna e cambiava la prospettiva sul mondo. Qualcuno ci guardava di lassù, e all’improvviso da osservatori diventammo guardati, piccoli abitanti dello spazio.

Ma proprio le regole prospettiche stavano cambiando, forse più drasticamente. In quell’estate 1969 due computer, uno a est l’altro a ovest degli USA, si misero a dialogare, scambiandosi dati, dando così origine alla rete. Tempo e spazio, elementi cardine della fisica classica, venivano messi da parte: era stata posta la prima pietra sulla globalizzazione.

Il mondo giovanile si sarebbe dato appuntamento a Woodstock, per una tre giorni di musica (ne parleremo); in più, sempre nell’estate ’69 veniva presentato il film Easy Rider, un road movie che metteva in luce la cultura della controtendenza, la risposta hippie al piattume medio borghese: l’inno alla libertà ad ogni costo.br Regista e interprete della pellicola era Dennis Hopper. Lui, classe 1936, viene ricordato per i suoi ruoli tormentati, ma amava molto pure la fotografia. Negli anni ’60, portava sempre con sé una macchina fotografica per cercare di “catturare l’attimo” e rubare scatti all’interno di feste private, set cinematografici, cene o manifestazioni varie. É stato una personalità effervescente e anticonformista, vestiva quasi sempre da cow boy, anche durante le cerimonie.

Il 21 luglio 1899 nasce Ernest Hemingway. La ricorrenza ci permette di definire meglio i contorni della sua fama. Diciamo subito che Ernest, come scrittore, ha occupato con i suoi romanzi la vita d’intere generazioni: anche quella di chi scrive. Francesco Guccini lo cita nella sua canzone “Incontro” (LP Radici): «I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway». Woody Allen lo riporta in vita nel film “Midnight in Paris” (2011), dove il protagonista impara ad accettare il presente grazie a due figure importanti della letteratura americana del ‘900: E. Hemingway e F.S. Fitzgerald.
Del resto, in molti hanno letto “Addio alle armi” (bella l’edizione Mondadori del 1949, con la traduzione di Fernanda Pivano), “Per chi suona la campana”, “Il vecchio e il mare” (anche qui con la traduzione di Fernanda Pivano, Mondadori 1952; Premio Nobel per la letteratura), “Fiesta”. Piaceva, forse, il suo appartenere alla Lost Generation o anche la vita turbolenta da lui portata avanti.

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