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ASILO POLITICO PER RUDOLF NUREYEV

16 luglio 1961. Rudolf Nureyev chiede asilo all’aeroporto Le Bourget di Parigi. Abbiamo incontrato spesso il ballerino russo, anche nel maggio dello scorso anno. Molto probabilmente i contenuti si ripeteranno, ma forse è giusto così, vista la complessità del personaggio.

Rudolf Nureyev visse un’esistenza di estremi: dalla povertà alla ricchezza, dall’anonimato alla più assoluta celebrità. Nato su un treno in un angolo dimenticato dell’Unione Sovietica, superò le difficoltà, divenendo un acclamato danzatore.
Il 16 giugno 1961, ecco arrivare la svolta, forse quella più decisiva della sua vita: presso l’aeroporto Le Bourget di Parigi, sfuggì al controllo del KGB e si consegnò alle autorità locali, chiedendo asilo politico al governo francese. Sull’onda del successo ottenuto in città, non si aspettava certamente di essere rispedito in Russia.
Era stata la fortuna a portarlo a Parigi. A causa di un infortunio del Primo Ballerino del Kirov Kostantin Sergeyev, a lui fu concesso di sostituirlo in un’esibizione nella capitale francese. Pubblico e critica rimasero estasiati, ma lui infranse le regole, quelle che vietavano di frequentare stranieri. Ecco il motivo per il quale fu accompagnato all’aeroporto: un rimpatrio dal quale, forse, non sarebbe più potuto tornare. Nureyev prese la decisione in un istante, quella dell’asilo politico.

La storia della sua vita prese il volo, obbedendo a quegli istinti che sin da giovanissimo abitavano in lui. Conquistò il mondo della danza, divenendo un oggetto del desiderio. E lui sorprese il pianeta con la sua spavalderia, che a volte diventava arroganza; ma era la sua bellezza a vincere, quella rara e muscolare che è di pochi. Tutti lo volevano: uomini, donne, fotografi, celebrità ricche e famose (Mick Jagger e Pablo Picasso tra queste); ma nascondeva anche un sommerso segreto, fatto di eccessi portati avanti nei bassifondi. Ecco ancora gli estremi: era ricco, ma decadente; amato, eppure anche odiato.
Continuerà a ballare, fino alla fine, senza sosta: quasi che la danza potesse surrogare una terapia interiore e fisica. Del resto, insisteva nel portare avanti il suo credo: sacrificio e sudore, come agli esordi.

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NASCE WALTER BENJAMIN

Questa è una notizia d’inizio settimana, un po’ pigra; quando il caldo (finalmente) parla d’estate, quella vera. Non vedremo fotografie d’autore, anche perché il soggetto sarà lui: Walter Benjamin (nato il 15 luglio 1892), autore del libro "Piccola storia della fotografia" (di Skira è l’edizione proposta).
Leggiamone la sinossi. "Piccola storia della fotografia" di Walter Benjamin, compare per la prima volta nel 1931 sulla rivista "Die literarische Welt", dove viene pubblicata in tre articoli successivi. Si tratta di un testo in qualche modo pionieristico, uno dei primi tentativi di tirare le fila di una disciplina che proprio in quegli anni si andava affermando su più fronti - esposizioni, editoria, grafica - e in modo sempre più massiccio e accessibile al vasto pubblico. Benjamin individua le tematiche e le ricerche che muovono la fotografia dai primi dagherrotipi fino agli autori a lui contemporanei, intrecciando il suo racconto con un dibattito di natura teorica sui legami tra arte e fotografia, ancora oggi di grande attualità. L’edizione che proponiamo ripropone alcune delle immagini scelte da Benjamin nel 1931.

Walter Benjamin (1892-1940) è stato uno dei massimi filosofi e pensatori tedeschi del Novecento. La sua teoria sulla perdita dell’aura espressa nel celebre saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” è uno dei capisaldi dell’estetica moderna.

Walter Guadagnini ha scritto: «Solamente la lucidità di Benjamin poteva trasformare l’attualità delle discussioni in corso intorno alla fotografia, alla sua funzione e al suo destino, in una storia che ha nutrito e continua a nutrire generazioni di studiosi. Insieme all’aspetto storiografico, esiste poi, non meno importante, quello descrittivo, la capacità di lettura delle immagini e la loro resa per via letteraria: la pescivendola di New Haven, la giacca di Schelling, il cappello di Kafka, la città vuota di Atget, non sono solo modelli di evocazione di climi e ambienti attraverso l’immagine fotografica, ma sono diventate icone della fotografia grazie a una lingua che sa ridare le profondità del pensiero e la sensibilità dello sguardo».

C’è da leggere, quindi, in questo lunedì: giorno spesso dedicato alla consultazione di saggi sulla fotografia. Del resto, proprio per passione, siamo obbligati a riflettere su cosa vi sia dietro a quel click tanto agognato. Tutto parte da molto prima e ci coinvolge socialmente, prendendo spunto da tematiche filosofiche e di pensiero. Non dimentichiamolo: la fotografia fa parte dell’uomo, della sua vita, del suo racconto.

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ATTENTATO A TOGLIATTI

14 luglio 1948. Palmiro Togliatti, leader del PCI, viene ferito gravemente da un estremista di destra. E' un momento delicato per l'Italia che, da poco uscita dalla guerra. L'attentato rischia di portare il paese alla guerra civile: scioperi, sommosse, fabbriche occupate, violenti assalti alle sedi cattoliche e ai partiti.

Il 1° gennaio del 1948 l’Italia aveva salutato il primo giorno della Costituzione Repubblicana. Il paese era più spaccato che mai. La rivalità “politica” rifletteva al suo interno due visioni contrapposte: da un lato la Democrazia Cristiana, dall’altro il neonato Fronte Democratico Popolare costituito da socialisti e comunisti. E’ l’Italia di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, di un giovane Giulio Andreotti e di Pietro Nenni, dei personaggi di Don Camillo & Peppone creati dalla fantasia di Guareschi.
Le prime elezioni politiche si tengono il 18 marzo 1948, fra mille tensioni: la sinistra accusa i centristi di una sudditanza nei confronti di USA e Vaticano; gli altri asseriscono che la scelta non è tanto fra due partiti di differenti ideologie, quanto tra Cristo e l’Anticristo, tra l’Occidente e l’Unione Sovietica. Si arriva anche alle minacce di scomunica, con Pio XII chiaramente schierato con la DC.
I risultati elettorali segnano una schiacciante vittoria della DC che ottiene il 48,5% dei suffragi a fronte del 31% raccolto dal Fronte; Alcide De Gasperi diventa capo del Governo. Le cose si complicano quando alle 11.30 del 14 luglio Antonio Pallante, un giovane siciliano legato ad ambienti dell’estrema destra, attenta alla vita di Togliatti in piazza Montecitorio a Roma, ferendolo gravemente. Scoppiano tumulti e rivolte. Sono giorni di altissima tensione. L’Italia è sull’orlo della guerra civile: tuttavia, lo stesso Togliatti invita tutti alla calma, rifiutandosi di cavalcare l’onda della protesta.
Nello scenario politico si infila anche lo sport, con Gino Bartali. La delegazione italiana che a fine giugno 1948 si presenta in Francia per prendere parte al Tour è priva di due atleti importanti: Fausto Coppi e Fiorenzo Magni restano a casa, l’uno per scelta personale e l’altro perché politicamente sgradito al di là delle Alpi. La squadra diretta dall’ormai leggendario Alfredo Binda punta tutto su un Bartali già trentaquattrenne, che ben pochi considerano in grado di ripetere l’impresa di dieci anni prima. Il 13 luglio, praticamente a metà Tour, Bartali si ritrova con 21′ di ritardo da Bobet.
Buona parte dei giornalisti e dei fotografi italiani al seguito della corsa fanno rientro in patria. Per i nostri corridori non sembrano più esserci speranze di successo (“Ha 34 anni, è troppo vecchio per il Tour!”, scrivono proprio di Gino Bartali i nostri quotidiani), ma in più il 14 luglio c’è stato l’attentato a Togliatti ed il paese sembra precipitare verso la guerra civile.

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BLACKOUT A NEW YORK

Il 13 luglio del 1977 un enorme blackout interessò la città di New York. L’elettricità andò via la sera del 13 luglio, e fu solo nel pomeriggio del giorno dopo che ritornò lentamente nei quartieri cittadini. L’unico quartiere a essere risparmiato dal gigantesco blackout fu quello del Queens, dove operava una diversa compagnia erogatrice.

Le ragioni del blackout consistettero in un forte temporale: diversi fulmini colpirono le linee elettriche che rifornivano la città in più punti. Il sovraccarico che ne conseguì costrinse la città al buio.

La situazione degenerò molto rapidamente. Il traffico andò in tilt e iniziò una vera e propria ondata di saccheggi, con migliaia di negozi aperti con la forza e svuotati, ad opera non solo dei ladri “abituali” ma da persone di diversa provenienza sociale. La polizia intervenne, ma in alcuni in alcuni punti si arrivò guerriglia urbana.
Nel 1965, dodici anni prima, un enorme blackout aveva interessato invece l’intera costa est degli Stati Uniti e del Canada. Stavolta il blackout interessò “solo” l’area di New York, abitata comunque da oltre dieci milioni di persone.

New York rimase senza luce anche anni prima, il che ci permette di incontrare le fotografie di René Burri. Nel 1965 il nord-est americano subì un black-out durato fino a 12 ore in alcuni luoghi. A New York, città sviluppata per lo più verticalmente, gli ascensori smisero di funzionare e le torce elettriche piuttosto che le candele diventarono beni preziosi. Le uniche luci per le strade erano i fanali delle auto e l’illuminazione interna degli autobus.
In quell’occasione, René Burri si avventurò tra le strade della città per vivere un’avventura prettamente visiva. Voleva “scrivere con la luce” in una situazione di assenza di luce. Otto rotoli di pellicola 35mm e niente flash. Il resto è nel libro: René Burri – Blackout New York, edizioni Moser.

Le nostre scelte fotografiche si sono orientate sul lavoro di René Burri

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