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WILLEM DAFOE, BRAVO E VERSATILE

Attore dall'espressività singolare, Willem Dafoe si è imposto nell’universo di Hollywood come uno degli attori più versatili oggi in circolazione, capace di spaziare dalle pellicole più commerciali a quelle maggiormente legate a progetti autoriali.

Lo ricordiamo nel film Platoon, diretto da Oliver Stone partendo dalla propria esperienza di volontario nel conflitto.
La trama riguarda le vicende di una giovane leva, che come prima cosa appena sbarcato all'aeroporto vede i sacchi con i cadaveri in partenza. Inizia così un viaggio nella paura, in un crescendo di esasperazione, con la presa di coscienza, al momento di ripartire, che il Vietnam è stato l'inferno. La giovane recluta dirà: «Non abbiamo combattuto contro il nemico, abbiamo combattuto contro noi stessi. E il nemico era dentro di noi».

È un film di dilemmi morali portati nella concretezza. Stone immerge la macchina da presa dentro il plotone, fa sentire la guerra dall'interno, guarda raramente l'insieme, piuttosto come ci si sente a stare nel fango, nel buio, tra gli alberi, magari sotto il tiro del nemico o degli stessi compagni d'armi. C'è anche il tentativo di difendere la propria umanità e integrità, non farsi accecare dalla rabbia, non cedere alla violenza gratuita sui civili.

Platoon ci presenta un Vietnam vero. Una recluta parte volontaria e scopre a sue spese gli orrori del conflitto. Capirà anche che l'America in realtà è in guerra con se stessa. Si tratta di un film fatto da chi in guerra c'è stato davvero, e il fatto emerge durante la visione. Mancano i patriottismi e i moralismi: il conflitto è sullo schermo e sembra di esserci dentro, di poter respirare la polvere del Vietnam.

Il film dove recita Willem Dafoe, Platoon appunto, a nostro giudizio è il migliore del genere. Non si alza alcun sipario sulla guerra e mancano i personaggi surreali. Chi combatte, nella pellicola, non distingue più il bene dal male. La patria è lontana, non più definita. Restano i dilemmi, svelati nella loro cruda durezza.

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CHRISTIANO JUNIOR FOTOGRAFO

Prima di parlare del fotografo delle Azzorre, permetteteci qualche sguardo a ritroso su quanto già incontrato. L’estate è una stagione vacanziera, pigra, fatta anche di riflessioni, sul tempo e sull’età, come direbbe un noto cantautore. Quella del 1969 fu ricca di eventi che diventarono storia: dal primo allunaggio (20 luglio) al concerto di Woodstock (15-18 agosto). L’uomo camminava sulla luna e cambiava la prospettiva sul mondo. Qualcuno ci guardava di lassù, e all’improvviso da osservatori diventammo guardati, piccoli abitanti dello spazio.

Ma proprio le regole prospettiche stavano cambiando, forse più drasticamente. In quell’estate 1969 due computer, uno a est l’altro a ovest degli USA, si misero a dialogare, scambiandosi dati, dando così origine alla rete. Tempo e spazio, elementi cardine della fisica classica, venivano messi da parte: era stata posta la prima pietra sulla globalizzazione.

Il mondo giovanile si sarebbe dato appuntamento a Woodstock, per una tre giorni di musica (ne parleremo); in più, sempre nell’estate ’69 veniva presentato il film Easy Rider, un road movie che metteva in luce la cultura della controtendenza, la risposta hippie al piattume medio borghese: l’inno alla libertà ad ogni costo.br Regista e interprete della pellicola era Dennis Hopper. Lui, classe 1936, viene ricordato per i suoi ruoli tormentati, ma amava molto pure la fotografia. Negli anni ’60, portava sempre con sé una macchina fotografica per cercare di “catturare l’attimo” e rubare scatti all’interno di feste private, set cinematografici, cene o manifestazioni varie. É stato una personalità effervescente e anticonformista, vestiva quasi sempre da cow boy, anche durante le cerimonie.

Il 21 luglio 1899 nasce Ernest Hemingway. La ricorrenza ci permette di definire meglio i contorni della sua fama. Diciamo subito che Ernest, come scrittore, ha occupato con i suoi romanzi la vita d’intere generazioni: anche quella di chi scrive. Francesco Guccini lo cita nella sua canzone “Incontro” (LP Radici): «I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway». Woody Allen lo riporta in vita nel film “Midnight in Paris” (2011), dove il protagonista impara ad accettare il presente grazie a due figure importanti della letteratura americana del ‘900: E. Hemingway e F.S. Fitzgerald.
Del resto, in molti hanno letto “Addio alle armi” (bella l’edizione Mondadori del 1949, con la traduzione di Fernanda Pivano), “Per chi suona la campana”, “Il vecchio e il mare” (anche qui con la traduzione di Fernanda Pivano, Mondadori 1952; Premio Nobel per la letteratura), “Fiesta”. Piaceva, forse, il suo appartenere alla Lost Generation o anche la vita turbolenta da lui portata avanti.

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MORANDI GARDIN, UN INCONTRO

Ci piace poterlo pensare, e cioè che Giorgio Morandi e Gianni Berengo Gardin si siano incontrati mediante le loro rispettive arti. Il fotografo ligure ha smentito la nostra ipotesi, crediamo soprattutto per una modestia innata, quella che tende ad allontanarlo dai clamori. Sta di fatto che Gianni Berengo Gardin si è confrontato felicemente con la pittura di Giorgio Morandi, realizzando un servizio fotografico nel 1993, nella casa in via Fondazza 36 a Bologna, dove Giorgio Morandi visse con le sorelle e lavorò sino al 1964, anno della sua morte.
Chi scrive ama il Morandi incisore e tutta la scuola bolognese, con autori quali Caporale Carlo (San Giovanni in Persiceto (BO), 1923 - San Benedetto Val di Sambro (BO), 2000), già allievo di Morandi; e Paolo Manaresi (Bologna, 23 settembre 1908 – Bologna, 20 luglio 1991) incisore italiano di primaria importanza nel Novecento.

Andiamo però con ordine. Giorgio Morandi, pittore e incisore, nasce a Bologna il 20 luglio 1890 da una famiglia della piccola borghesia. Era il maggiore di cinque figli. Il suo unico fratello è morto durante l'infanzia. Morandi sviluppò fin da piccolo un interesse per l'arte, scontentando il padre che voleva che il figlio lo affiancasse nella sua attività di esportazione; Morandi tentò quella strada senza successo nel 1906 prima di iscriversi all'Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1907. La sua ricerca dell'arte come carriera è dovuta in parte al suo fallimento nell'azienda paterna e alla sua resistenza a cambiare la sua attenzione sull'arte nonostante i migliori sforzi di suo padre e perché sua madre credeva che suo figlio dovesse seguire i suoi sogni.
Nel 1907 s’iscrive all'Accademia di Belle Arti.
I suoi riferimenti artistici vanno da Cézanne a Picasso, ma sviluppa un grande interesse anche per l'arte italiana del passato: Giotto, Masaccio e Paolo Uccello. Si diploma nel 1913 e dopo un anno comincia a esporre.
Negli anni '20, a seguito di una fase metafisica, inizia il periodo delle nature morte, degli oggetti più comuni. Non si sposta da Bologna, tuttavia resta in contatto con i movimenti intellettuali del paese.
Dopo avere insegnato per molti anni disegno nelle scuole comunali, nel febbraio del 1930 ottiene la cattedra di Incisione presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna; rimarrà lì fino al 1956. Durante gli anni della Seconda guerra mondiale, nell'estate del 1943, si ritirerà sull’Appennino Bolognese, a Grizzana, dove svilupperà dei lavori dedicati ai paesaggi.
Dopo una lunga malattia, Giorgio Morandi si spegne a Bologna il 18 giugno 1964. La sua salma riposa nella Certosa di Bologna.

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UNA CHITARRA, UN ASTEROIDE, LA FOTOGRAFIA

“L'arte è indefinibile, ma non può che nascere dalla passione”.
Brian May

Potevamo titolare l’articolo con "Brian May una volta di più", anche perché ci siamo occupati spesso del chitarrista dei Queen; ma lui è un personaggio complesso, che è riuscito a eccellere in vari ambiti, persino in fotografia, a tal punto che possiamo considerarlo uno di noi. Oggi poi è il suo compleanno (nasce il 19 luglio 1947), il che giustifica il nostro interessamento per lui.

Chi è Brian May?

Si tratta del chitarrista dei Queen, 26° al mondo (allo strumento) nella classifica redatta dalla rivista statunitense Rolling Stones. Sì, lui è un appassionato di fotografia, sin dalla tenera età. Così ci accorgiamo, anche questa volta, come l’arte dello scatto attecchisca più facilmente nelle persone aperte alla curiosità e alla conoscenza, al sapere più profondo. Già, perché Brian, come vedremo, è anche uomo di scienza e cultura, dedito di recente all’astronomia. Quanti musicisti possono annoverare un satellite o un asteroide che porti il loro nome? Brian May può. L’asteroide 52665 Brianmay ne è la prova.

Lunghi capelli bianchi

A vederlo oggi, Brian assomiglia a uno scienziato del ‘500. Il paragone “visivo” non è comunque fuori luogo. Brian May, il chitarrista dei Queen (scusate se è poco), ha condotto studi di alto livello. Si è laureato con lode in Fisica e, dopo aver abbandonato il dottorato di ricerca in Astronomia, è stato per breve tempo professore di matematica. Ed è al College che ha coltivato l'idea di formare un gruppo musicale. Lì ha incontrato Roger Taylor, l'altro membro dei futuri Queen, impegnato in quel momento negli studi di biologia (regolarmente portati a termine: un altro genietto).
Ci troviamo di fronte a un’altra passione “contaminata”, dove la fotografia vive tra astronomia e musica, scienza e creatività.

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