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Daniele Guidetti

"A livello fotografico, ho sempre guardato poco gli altri. Non si tratta di presunzione, ma di paura: quella per la quale mi sarei lasciato influenzare. Il mio modo di scattare è intuitivo. Quando faccio il sopralluogo per un catalogo, difficilmente riesco a pianificare gli scatti; se anche lo facessi, sarebbe inutile: fotografo al momento. Se vuoi dei nomi, eccone due: Mario Testino, per i colori; Peter Lindbergh, per le atmosfere."
DANIELE GUIDETTI
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

FASHION & PASSIONE

Segue le orme paterne, Daniele Guidetti; è quasi obbligato a farlo. Lo immaginiamo giovane, mentre stampa in negozio o si dedica ai lavori più comuni: cresime, comunioni, matrimoni. Quelli però sono anni importanti. Il nostro studia, quasi di nascosto; acquisendo nel frattempo quella dimestichezza che gli tornerà utile in futuro: di fronte a quella moda che scatenerà la sua passione per la fotografia.

Sono vicende non comuni, quelle che ci ha raccontato Daniele. E’ difficile trovare motivazioni in un ambiente frequentato per forza. Crediamo comunque che molto possa attribuirsi alla sua umanità, al modo di essere che gli appartiene.

Quando parliamo con lui, riconosciamo una saggezza antica: quella delle persone pacate, semplici, buone, in equilibrio tra aspirazioni e prese di coscienza. Daniele non butta via nulla ed è riuscito a colmare quello spazio che esiste tra ciò che si è e quanto si fa. Guardando le immagini che ci ha proposto (grazie), notiamo anche come in lui non vinca la tendenza, pur occupandosi di moda. E’ sempre l’individuo a prevalere: l’uomo, e quindi il fotografo. Le scelte sono già fatte, a monte di ogni bivio importante: magari anche aspettandole, facendole maturare.

Quel ragazzo giovane che stampava in negozio ha avuto pazienza, tanta; sommata alla volontà. Si è applicato, mettendosi a studiare. La consapevolezza di sé sarebbe valsa più di qualsiasi abilità di circostanza. Con calma è arrivata anche la passione. Che sia stata la moda ad accenderla poco importa. Va bene così.

D] Daniele, quando hai iniziato a fotografare?

R] Nel 1998. Prima scattavo per mio padre, occupandomi anche delle riprese video. Avevo diciassette anni quando ho iniziato a lavorare in fotografia e ormai quasi quarant’anni che opero nel settore.

D] La tua è stata passione?

R] All’inizio, no; si trattava di un’imposizione paterna. Da giovanissimo, ritraevo matrimoni, cresime, cerimonie; e non era certo esaltante. Lavoravo poi nei vari negozi di famiglia, dove si stampava anche (mini lab). Io studiavo di nascosto e ho conseguito la laurea al DAMS di Bologna. La moda mi ha avvicinato alla fotografia in maniera emotiva, e lì è nata la passione.

D] Come hai curato la tua formazione?

R] Lavorando. Ho avuto la possibilità di affrontare la fotografia a tutto tondo, anche in situazioni particolari. Ricordo che a Cento, dove avevamo un negozio, fermavamo la gente per offrire loro una fotografia. Poi ci sono state le cerimonie di rito e anche lì sono riuscito a farmi le ossa. Mio padre si dedicava anche al motomondiale, che però io ho frequentato poco. Li ha operato mio fratello, prima di lasciarci prematuramente.

D] Non male come esperienza d’esordio …

R] Ne ho ricevuto quella consapevolezza che, mista a una dimestichezza di fondo, mi ha consentito di affrontare gli attori della moda, modelle in primis. Quest’ultime avvertono la professionalità, il che consente loro di operare in tutta serenità. Uno shooting arriva al successo se si realizza la chimica necessaria, quella della relazione.

D] Hai iniziato con la pellicola?

R] Ovviamente sì.

D] Qualche rimpianto per l’analogico?

R] Sì, non tanto per questioni tecniche (la qualità del digitale è altissima da tempo), ma alla luce dell’emotività. Mi manca la magia. Un tempo sapevi solo il giorno dopo se il lavoro prodotto era buono. Ti aiutavano le Polaroid, ma l’incertezza era sempre presente. Oggi è tutto troppo facile.

D] Hai avuto degli elementi ispiratori?

R] A livello fotografico, ho sempre guardato poco gli altri. Non si tratta di presunzione, ma di paura: quella per la quale mi sarei lasciato influenzare. Il mio modo di scattare è intuitivo. Quando faccio il sopralluogo per un catalogo, difficilmente riesco a pianificare gli scatti; se anche lo facessi, sarebbe inutile: fotografo al momento. Se vuoi dei nomi, eccone due: Mario Testino, per i colori; Peter Lindbergh, per le atmosfere.

D] Il DAMS ti ha aiutato?

R] Mi ha restituito molto a livello culturale. Lo studio e la conoscenza sono validi alleati. Anche l’aver viaggiato di continuo ha rappresentato, per me, un valido supporto. Alle volte non ti accorgi di quello che vedi, mentre un luogo straniero (e scelto) aguzza la vista e il pensiero. Il momento giusto per lo scatto viene fuori più facilmente.

D] Qual è stato il viaggio fotograficamente più utile per te?

R] Sono stato diverse volte a Rio. Le espressioni della gente del luogo mi hanno sempre attratto, compreso il loro modo di interfacciarsi con i turisti. New York è una tavolozza d’immagini e suggestioni: là ti si riempie il cervello.

D] Come sei arrivato alla moda?

R] Sempre con mio padre. Lo aiutavo, e ho continuato nel settore quando lui ha smesso. Anche qui sono un figlio d’arte.

D] La moda per te è una passione?

R] Mi piace tantissimo. Quando devo fotografare un catalogo, è come se partecipassi a una festa; con le altre situazioni, la fotografia torna a rappresentare un lavoro.

D] Cosa ti piace del fashion?

R] Quello che voglio ottenere è un’emozione. Il mio cliente vuole vendere, farsi conoscere e offrire un’immagine positiva della propria azienda. Una volta, avevo due o tre clienti e non dovevo fare molto; oggi, le esigenze sono variegate per tanti interlocutori: io devo accontentarli tutti.

D] Nelle sfilate è diverso?

R] Lì è come se fossi un reporter. Diventa importante la conoscenza del mezzo, dello strumento. Conta poi la scelta della posizione e un’attenta analisi delle luci, per una giusta esposizione. Tieni conto che si opera praticamente al buio.

D] In sfilata si scatta ad alte ISO?

R] Sì, perché i registi sono venuti a sapere delle possibilità di oggi. Le luci sono più teatrali, e sempre meno intense. Tieni conto che le modelle sfilano velocissime, per cui occorrono anche tempi veloci d’esposizione. Vuoi dei numeri? 1/500 di secondo (almeno); f/5,6; 800 – 1000 ISO.

D] Qual è l’ottica che usi più volentieri?

R] Il 100 – 300 mm. Lo trovo molto inciso, soprattutto se abbinato alla mia EOS. In passerella tutti gli scatti sono a fuoco.

D] Parli delle sfilate, ma in generale quali sono le ottiche che preferisci?

R] Sicuramente il 24 – 70 f/2,8 e poi l’85mm f/1.2: entrambe sono ottiche fantastiche. Purtroppo oggi tendiamo a usare gli zoom anche per i look book, ci viene automatico.

D] Tra le tue, c’è un’immagine alla quale sei particolarmente affezionato?

R] Il 14 settembre 2001 ero a New York e sono andato in Ground Zero. Usavo la pellicola allora. Ricordo che respiravo polvere di vetro, in un clima ancora oppressivo. Hanno iniziato a urlare, come se, sotto le macerie, avessero trovato qualcuno. Mi sentivo emozionato, tremante. Un pompiere si avvicina e, a gesti, avvisa che sotto non c’è nessuno. Lo fotografo e, nonostante il tempo rapido, l’immagine è venuta mossa.

D] Parlaci del tuo primo libro, sicuramente un esordio interessante …

R] Col primo parte la mia attività editoriale, che sto portando avanti anche e soprattutto per motivi benefici

D] Com’è nata l’idea di quella prima volta?

R] Avevo tante immagini suggestive, molte frutto di sperimentazione. Una notte mi sono messo a scrivere una biografia, non pensando al libro però. Dopo due giorni ne è venuta fuori una storia divertente, che anche l’editore ha trovato tale. E’ entrata a far parte della pubblicazione. Il libro è nato un po’ anche da lì.

D] Il libro è un progetto che si realizza?

R] Direi che si tratta di un sogno diventato realtà.

D] Hai altri sogni nel cassetto?

R] Sì, eccome. Vorrei fotografare una cover di un disco per un musicista importante o essere chiamato per una campagna al top (Armani, D&G). Prima o poi, dovrà succedere.

D] Curi personalmente il ritocco?

R] No, lo seguo solamente. Ho dei collaboratori che lo fanno per me, ai quali ovviamente suggerisco cosa voglio. Io curo lo scatto e le luci.

D] Preferisci scattare in studio o all’aperto?

R] All’aperto, perché le situazioni sono varie ed è possibile giocare maggiormente con la modella. In studio, se non hai l’opportunità di investire (budget), ti rimangono solo le luci.

D] Usi le luci anche in esterni?

R] Quasi mai. Se posso, utilizzo solo un pannello riflettente.

D] Hai detto che viaggi molto …

R] Sì, particolarmente per le sfilate.

D] Come fate a posizionarvi in fondo alla passerella? Siete in tanti, troppi!

R] Spesso ci meravigliamo anche noi fotografi. Diciamo, comunque, che vige un reciproco rispetto.

D] Gli organizzatori dovrebbero pagarvi, perché rappresentate un aspetto spettacolare delle sfilate …

R] In effetti noi fotografi siamo importanti, forse più degli abiti che sfilano.

D] Usi il flash in passerella?

R] No, e ormai non lo fa più nessuno; solo coloro che si occupano dei dettagli.

D] Siamo in passerella ed esce la modella: quanti scatti le dedichi?

R] Tanti: dai sei ai dieci scatti. Devo ritrarre la figura intera, il mezzo busto, per finire al beauty (il trucco del viso). Sappi che la modella, mentre cammina, deve essere fotografata con entrambi i piedi per terra. Non è accettabile un’immagine che presenti un arto che sta compiendo il passo e che quindi risulta sollevato.

D] Curi anche il back stage?

R] E’ raro. Se posso, lo evito: non mi piace.

D] Tra le varie sfilate, c’è un genere di fashion che preferisci?

R] No. Sappi che io fotografo anche i bambini che sfilano al Pitti di Firenze. E’ molto divertente: sono belle le loro espressioni.

D] La moda è donna: la modella diventa importante?

R] Rappresenta l’ottanta per cento del lavoro. Se non è brava, hai poco da inventare.

D] B/N o colore?

R] Colore. Nel mio ambito, il bianco & nero rappresenta un vezzo. La moda è a colori e lo puoi riscontrare anche osservando le riviste specializzate. Questo naturalmente non ha nulla a che fare col mio gusto personale: potessi scattare per me, lo farei in B/N.

D] Ti viene offerta la possibilità di scegliere: che fotografia scatteresti domani?

R] Vorrei lavorare in Alaska per una campagna di piumini. Non sono mai stato là.

D] E’ il momento degli auguri: puoi fartene uno da solo, fotografico; cosa ti dici?

R] Mi auguro di rimanere sempre un professionista, colui cioè che non perde la ragione delle cose. Questo è un consiglio che offro anche agli altri fotografi: particolarmente ai giovani.





Buona fotografia a tutti

Daniele Guidetti

Daniele Guidetti, note biografiche

Figlio d’arte e Certified by Leica, Daniele Guidetti ha cominciato a fotografare le sfilate di moda fin dagli esordi delle passerelle a Milano, negli anni ’80. Dalla pedana dei fotografi ha visto gli anni del boom e quelli della crisi, il decollo di alcune griffe e il declino di altre, la mania della minigonna e il ritorno del ginocchio coperto. Ha scattato fotografie e sviluppato rullini per gran parte della sua adolescenza e gioventù, imparando i segreti funzionali degli strumenti per ottenere risul- tati sempre più perfetti e competitivi, poi si è convertito al digitale trovando in questa tecnica un fondamentale supporto professionale. Oggi gira il mondo come fotografo di moda sempre presente sulle principali passerelle internazionali e autore di campagne di advertising, oltre che head photographer del magazine Showdetails che ha contribuito a ideare e lanciare. Collabora stabilmente con case editrici internazionali e insegna al Master Photography dell’Istituto Marangoni di Milano.

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