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Valentina Tamborra

"Sono “nomade” per definizione», ci ha raccontato. E poi: «Lo spostamento fa parte della mia vita. Penso con dolore alle persone che non possono affrontarlo"
VALENTINA TAMBORRA
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

LE STORIE DI CONFINE

Purtroppo abbiamo incontrato Valentina Tamborra solo al telefono. Le vicende recenti non ci hanno concesso di più: peccato. Abbiamo ricevuto tante sue immagini (grazie) e le abbiamo osservate spesso, anche prima di scrivere queste righe. Ci siamo domandati di continuo da dove nascesse tanta curiosità, la nostra. Valentina si occupa di reportage, racconta, scrive anche, ma questo non bastava a persuaderci circa l’attrattività scaturita dalle fotografie. Le parole della fotografa sono riuscite ad aprire un varco: «Ad attrarmi sono le storie “di confine”: piccoli mondi ai margini, quelli che spesso non vengono notati, ma che rivelano sorprese». Già, il punto è lì, e anche il merito di Valentina: è riuscita a comprendere il margine, a farlo proprio.

Lei non esplora, né invade: vive all’interno del confine, ne percepisce il silenzio e l’energia; perché, come dice: «I margini salveranno l’umanità». Osserviamo ancora le fotografie, ecco emergere il rigore, la dedizione, ma soprattutto i rispetto di chi coabita con le persone. Per fare tutto ciò, crediamo occorra dimenticarsi: non tanto nel ruolo, ma per ciò che concerne la propria esistenza. E questo, forse, è il sacrificio più grande, perché occorre il coraggio, quello di chi ha bucato una coltre che si è chiusa alle spalle. Troppo spesso, quando si parla di viaggi, emergono racconti sulle difficoltà: il caldo, il freddo, l’umidità o altro; tutte banalità che Valentina neanche menziona. Lei è cittadina dei luoghi che visita e li abita in punta di piedi, il tempo necessario. Alla fine, riesce a trovare sorprese, e meraviglia; il tutto per via di un approccio felice, quello che, come lei dice: «Mi ha portata a sentirmi a casa in ogni parte del mondo». Ci siamo quindi, abbiamo compreso: «Sono “nomade” per definizione», ci ha raccontato. E poi: «Lo spostamento fa parte della mia vita. Penso con dolore alle persone che non possono affrontarlo». Già, ma occorre dell’altro: la forza e il coraggio per forare quel velo prima del confine. Gli incontri avvengono dall’altra parte e ne emergono le storie.

D] Valentina, quando hai iniziato a fotografare e perché?

R] Già alle elementari desideravo maneggiare la fotocamera, quella di mia madre. Anche lei scattava. Mi è sempre piaciuto legare parole e immagini, raccontare le storie degli altri. Ero una bambina mossa dalla curiosità. Uno dei primi libri che ho letto è stato quello di Oriana Fallaci sul Vietnam: per me ha rappresentato un’illuminazione.

D] La tua è stata passione per la fotografia?

R] La mia è stata una necessità: uno strumento che potesse farmi comprendere dinamiche che non conoscevo. Io lavoro sulle persone ai margini del mondo e la fotografia ha rappresentato un mezzo per violare quel mergine, penetrandolo. Mia madre, indirettamente, è stata uno stimolo: era bilingue, una ricchezza. Che dire? Amo il mio lavoro.

D] Bene: non passione, ma necessità; anche l’amore però è importante …

R] E’ alla base, in tutti i sensi. M’innamoro delle storie e delle persone che le abitano. Entro in relazione con loro.

D] Valentina, come hai curato la tua formazione?

D] Io in realtà avrei voluto studiare fotografia, ma mia madre disse: «Non è un lavoro», così ho frequentato il liceo classico. Il mio percorso formativo è stato tortuoso: corsi, workshop, assistente; anche se poi ha rappresentato un bene, visto che ha confermato i miei intendimenti.

D] Fotograficamente come ti definiresti?

R] Sono una fotografa vorace, curiosa, ossessionata. Lavoro su progetti a lungo termine, con una disciplina tutta mia: mi faccio coinvolgere dalla storia. Sono una narratrice, ecco tutto: nel reportage è sempre stato così; fotografie e parole stanno bene insieme.

D] Fotogiornalista va bene?

R] Sì.

D] Hai voluto raccontare anche l’Artico?

R] Sì, perché mi piace. L’Artico è un’idea e l’ho indagato antropologicamente, entrando in contatto con la gente del luogo. Ecco un altro confine, uno di quelli di cui ti ho parlato prima.

D] Nelle Svalbard, quanti fucili!

R] Là la mia indagine ha riguardato coloro che vivono di carbone, in miniera. Da quelle parti, c’è una legge che vieta di uscire disarmati, pur essendoci pochi crimini. Gli orsi polari sono tanti, più numerosi delle persone. La natura è dominante.

D] Bianco e nero o colore?

R] Non ho preferenze, dipende dai progetti: per alcuni è meglio il colore, per altri il bianco e nero.

D] Qual è (o è stato) il tuo rapporto con la pellicola?

R] L’ho usata nel progetto “Chi sei, cosa fai”, montata su una Rolleiflex. Volevo indagare sulle persone che hanno contribuito a formare la mia idea del mondo, individui dalla vita importante.

D] Nutri qualche rimpianto per la pellicola?

R] Non tanto, perché qualche volta la uso. E’ importante tenere conto che l’approccio deve rimanere il medesimo, con l’analogico o il digitale, trovare il momento giusto e il pensiero adeguato. Il bianco e nero della pellicola è affascinante. Io utilizzo il medio formato anche in digitale: la qualità è tanta, ma ciò che conta risulta essere il messaggio.

D] Hai avuto degli elementi ispiratori, dei fotografi che ti abbiano ispirato?

D] Sì, direi dei maestri di vita: non solo in fotografia, però. Anche la scrittura ha avuto le sue ispirazioni. Tra i fotografi, viglio citare Avedon, per i suoi ritratti: riusciva a far emergere la persona dietro al personaggio. Ci sono poi Francesco Cito, oggi un amico, ma anche Kapuściński e Koudelka. Tra gli scrittori vorrei citarti Philip Roth, un grande romanziere. Tieni conto che la mia formazione è umanista, più ampia quindi di quella che si potrebbe immaginare per una fotografa. Ai miei studenti consiglio spesso di contaminarsi, perché l’ispirazione può arrivare da tante parti.

D] Nelle tue immagini, ma anche in quanto dici, emerge l’idea del viaggio. Lo ami ancora?

R] Lo spostamento fa parte della mia vita. Penso con dolore alle persone che non possono affrontarlo.

D] Circa le fotografie, parli spesso di confine, cosa intendi?

R] Un margine che mi permette di osservare meglio la realtà. Nei posti “di confine” c’è un silenzio che occorre sconfiggere. In Artico non esiste solo l’assenza del rumore, ma anche il silenzio di chi non viene ascoltato.

D] Mi ripeto, il tuo amore per l’Artico è dirompente …

R] L’Artico è la casa: io appartengo a quei luoghi. Ne amo l’ampiezza, il bianco, l’assenza che provo.

D] La tua fotografia vive di progetti, dico male?

R] No, è veramente così.

D] Na hai qualcuno a tendere?

R] Non potrebbe essere altrimenti. Ne sto portando avanti uno sulla Sardegna e un altro su base biografica, vedremo.

D] Tra quelle che utilizzi, c’è un ottica preferita?

R] Il grandangolo. Come dire, scatto “corto”, per inserire il soggetto nel contesto.

D] Qual è la qualità più importante per un reportage come il tuo?

R] Occorre resistere allo stress e tanta determinazione. Anche la disciplina è importante, l’ordine mentale. Il fotografo è colui che sa ascoltare.

D] Potessi dedicarti un augurio da sola, cosa ti diresti?

R] Andare avanti così, il più lontano possibile, indagando la realtà dei margini. Saranno quest’ultimi a salvare l’umanità.

D] E alla fotografia cosa auguriamo?

R] Di continuare a vivere. Il reportage non è morto.





Buona fotografia a tutti

Valentina Tamborra

Note biografiche

Valentina Tamborra, nasce nel 1983 a Milano, dove vive e lavora. Fotografa Professionista e Giornalista Pubblicista, si occupa principalmente di reportage e ritratto e nel suo lavoro ama mescolare la narrazione all’immagine. Ha collaborato e collabora con alcune fra le principali ONG ed Enti Nazionali ed Internazionali come AMREF, Medici Senza Frontiere, Albero della vita, Emergenza Sorrisi e Croce Rossa Italiana. I suoi progetti sono stati oggetto di mostre a Milano, Venezia, Roma e Napoli. Numerose le pubblicazioni sui principali media nazionali (Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica, Il Manifesto, La Lettura, Famiglia Cristiana, Gioia). Ha altresì partecipato come ospite a diverse interviste radiofoniche e televisive (Rai 1, Rai 3, Rai Italia, Sky TV, Radio 24 , Radio Capital e Rai Radio2). Docente di fotografia presso Istituto Italiano di Fotografia, a Milano. Ha realizzato e realizza workshop e speech in alcuni fra i più prestigiosi istituti italiani quali Naba (Nuova Accademia di Belle Arti, Milano) e IED (Istituto Europeo Di Design). Doppia Luce, il suo primo grande progetto personale, dopo essere stato in mostra è diventato un ciclo di conferenze presso NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) a Milano. Nell’Aprile 2018, in occasione del Photofestival di Milano, vince il Premio AIF Nuova Fotografia.

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