Skip to main content
- stay tuned -
Non ci sono eventi futuri

Edoardo Bauer

"Sono totalmente autodidatta. Non ho frequentato alcuna scuola. Da sempre cerco un mio stile, pur nelle difficoltà. Nelle gare che documento, si ha solo una possibilità al giorno, senza margini per gli errori.“
EDOARDO BAUER
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI

PASSIONE DESERTO

Abbiamo incontrato Edoardo Bauer solo al telefono: anche il Covid ce lo ha imposto. E’ uno dei fotografi trentini che ha partecipato alla mostra organizzata da Giorgio Zorzini (Alla Rotonda). Ci ha accolto una voce calma, pacata, gentile, con la quale è stato piacevole parlare di fotografia (la passione accomuna).

Edoardo fotografa i rally del deserto, ma parlandone ci ha illustrato la sua passione per i territori di gara; ambiti immateriali, minerali: quelli che, a suo dire, fanno emergere stimoli primordiali, antichi, forse assopiti.

Ascoltiamo e ne rimaniamo sorpresi, forse perché non abituati agli orizzonti di sabbia. Ci viene in mente il nulla: forse la paura della duna che si ripete, per un orientamento perduto nell’abbagliare del sole. No, non deve essere così: almeno per Edoardo. Il suo rapporto col deserto vive del contatto con il terreno, dell’energia che ne emerge. E poi, abbiamo capito come nelle distese di sabbia non esista il niente, ma genti, lingue, suoni, tradizioni. Ecco quindi che le corse di moto e auto finiscono per assumere (almeno crediamo) un connotato estremo, forse opposto, mosso anch’esso dalla stessa energia di Edoardo: quella antica, che si rigenera.

Occorre orientarsi, in quelle competizioni, e il nostro fotografo ce lo racconta. Ma non è forse un dovere dell’uomo quello di trovare una retta via? E allora è meglio cercare la propria stella polare tra le dune da saltare, scegliendo (da fotografi) quelle idonee per aspettare. La realtà, nel deserto, non è omologata, e va rispettata. Come i valori della vita, che non sono assoluti, ma che viceversa devono essere vissuti e ricercati ogni giorno. Con Edoardo lo abbiamo capito. Grazie.

D] Edoardo, quando hai iniziato fotografare e perché?

R] Nell’88. Lavoravo come giornalista, per una testata di motociclismo. Un giorno, la redazione mi ha messo tra le mani una fotocamera. E’ nata una passione. Da dodici anni vivo prevalentemente del lavoro di fotografo e fortunatamente ho tanto da fare. Scrivo meno articoli oggi: la fotografia ha prevalso.

D] La tua è stata passione per la fotografia?

R] Ho iniziato a fotografare per necessità, poi si è acceso il “fuoco sacro”. Ho comperato la prima reflex ed è iniziata la mia carriera. Insomma, tutto è nato dai motori, con una passione che ha contagiato anche la fotografia.

D] La passione è stata importante?

R] Assolutamente sì. Io fotografo i grandi rally del deserto. Senza la passione è difficile andare avanti. La disciplina non è semplice, anche se risulta magnifica per gli scenari che restituisce. I sacrifici da affrontare sono tanti: l’ambiente, i ritmi, le notti in bianco alla guida del fuoristrada; senza provarli, è arduo rendersene conto.

D] Hai avuto degli elementi ispiratori? Dei fotografi che hai ammirato?

R] Ce ne sono tanti, Gigi Soldano su tutti. Lui è il “boss” del motomondiale, un mago dell’obiettivo; e ha seguito moltissime Dakar fin dalle prime edizioni. Valentino Rossi l’ha scelto come fotografo ufficiale.

D] Altri fotografi?

R] Beh, preferisco rispondere che Gigi è l’esempio da emulare, punto e basta.

D] Edoardo, come hai curato la tua formazione?

R] Sono totalmente autodidatta. Non ho frequentato alcuna scuola. Da sempre cerco un mio stile, pur nelle difficoltà. Nelle gare che documento, si ha solo una possibilità al giorno, senza margini per gli errori. Si sceglie una location, anche se non si conosce esattamente il posto dove passeranno i piloti.

D] La Dakar non si è tenuta sempre in Africa …

R] E’ vero. Dal 2009 hanno corso in Sud America (Argentina e Cile, poi anche Perù, Bolivia e Paraguay), fino all’anno scorso. Nel 2020 è subentrata l’Arabia Saudita, che ospiterà la competizione per i prossimi cinque anni. La nazione Saudita si è appena aperta al turismo, restituendo ai primi visitatori uno scenario affascinante. Là ho trovato concentrate tutte le situazioni alle quali ero abituato.

D] Non conosco l’Argentina del deserto …

R] Al nord, puoi incontrare delle zone desertiche incredibili, come le dune bianche di Fiambala. Conto di tornarvi.

D] Motori o fotografia: quale passione vince tra le due?

R] Una volta preferivo i primi, oggi prevale la voglia per lo scatto.

D] Ho visto che hai documentato anche molte auto …

R] Sì, ho dei clienti anche lì e i mezzi mi piacciono. Anch’io possiedo un 4X4 con il quale affronto i deserti.

D] Il deserto esercita un fascino tutto suo, dico male?

R] Sì, ed è difficile spiegarlo a parole. Quando lo vivi, emergono stimoli primordiali: camminare in quel mondo minerale, alla luce della luna, procura sensazioni indescrivibili.

D] E’ una questione soggettiva, individuale?

R] Probabilmente, ma anche d’atteggiamento e di pensiero. Sant'Agostino e molti altri pensatori dell’antichità venivano dal deserto. Comunque, quell’ambiente ti restituisce tanta energia. Nel 2004, mi ero slogato una caviglia, in Liguria. Dopo una settimana, sono partito per il Rally dei Faraoni. Il giorno della prima tappa, appena messi i piedi nella sabbia, è scomparso ogni dolore. Anche prima dell’ultima Dakar la mia caviglia ha ceduto (frattura scomposta, questa volta). Sono stato operato restando immobile 45 giorni. Mi sono messo in viaggio una settimana dopo che mi hanno tolto il gesso, con le stampelle. Le ho abbandonate in tre giorni.

D] Molte comunità vivono nel deserto …

R] E’ vero. Frequentandole, non ho mai incontrato persone cattive. Tutti sono ospitali e disponibili. Lo stereotipo dell’arabo che coltiviamo da noi nulla ha a che fare con la realtà. Ho conosciuto gente allegra, disposta ad accoglierti già al primo incontro. Questi valori, a casa nostra, li abbiamo dimenticati.

D] Hai incontrato anche i Tuareg?

R] Sì. Loro sono un popolo di nomadi. Migrano tra Ciad, Niger, Marocco, Algeria. Non hanno una terra e nemmeno un’identità geografica. Parlano una lingua impossibile e possono essere identificati come Berberi: non Arabi, quindi.

D] Hai iniziato con la pellicola?

R] Ovviamente, sì.

D] Qualche rimpianto per l’analogico?

R] Sì e no. Il digitale ha rivoluzionato il mondo della fotografia. Ricordo quando l’ho incontrato per la prima volta. Ero in Egitto e Aldo Winkler (importatore Nikon, che correva) mi ha fatto provare una Coolpix, con la quale ho ritratto Fabrizio Meoni, il grandissimo pilota poi deceduto a Kiffa, in Mauritania, nel 2005. Ho spedito le fotografie via modem e, quando sono tornato in Italia, mi sono meravigliato nel vederle su Motosprint. Capii che le cose stavano cambiando. Bene così, è il progresso. Esiste però un aspetto negativo: chi aspetta le immagini, seduto comodamente alla scrivania, vuole tutto e subito. Una cosa è certa: arrivare dalla pellicola è di grande aiuto. Le basi sono le stesse.

D] Curi personalmente la post produzione?

R] Sì, in loco. Durante una tappa della Dakar, ci si muove alle quattro del mattino. Trovata la location, gli scatti occupano 4-5 ore. Io lavoro per tutti i sette team delle moto. Quando sono passate, lascio i colleghi sul posto (che mi affidano le loro schede), scelgo le immagini e le edito per poi inviarle. Ogni giorno consegnamo circa 500 foto.

D] C’è, tra le tue, un’ottica che preferisci utilizzare rispetto ad altre?

R] Recentemente ho comperato un 300 f/2,8, e mi piace molto; ma il 70 – 200 (sempre f/2,8) rimane la mia ottica regina. Ne uso altre, ovviamente: il 105 ed anche il 24 – 70 o il 14 – 24. Dipende dalla situazione e dall’ispirazione del momento.

D] Dopo tanti anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro e che vorresti portare a termine?

R] Di progetti ne ho tanti. Amo le fotografie di viaggio (ed anche il peregrinare, ovviamente) e mi mancano. E’ bello documentare luoghi e persone e vorrei farlo con maggiore assiduità, magari in qualche paese africano, per pubblicare magari un libro o aiutare le genti del luogo.

D] Soffri anche di mal d’Africa, quindi …

R] Sì, diverso però dall’attaccamento che ho per il deserto. Lì è una questione d’energia: posso lavorare per ventidue ore di fila, senza sentirmi stanco.

D] Edoardo, tu sei trentino di nascita?

R] Sì e sono sempre vissuto qui.

D] La tua regione ti ha offerto qualcosa fotograficamente?

R] Che dire? Vivo in una zona fantastica, dove la natura vince e prevale, nella cornice delle montagne. Lo stimolo viene da lì. Non amo le città.

D] C’è, tra le tue, una fotografia preferita: quella che ami particolarmente?

R] Non una in modo particolare. Ne amo tante. Ogni immagine è legata a un ricordo, a un’emozione. Del resto, nel mio lavoro si è sempre alla ricerca della fotografia perfetta.

D] Hai partecipato alla mostra dei “Fotografi Trentini”: ti è piaciuta l’iniziativa?

R] Sì, molto bella. Nonostante io sia della zona, non conoscevo tutti i colleghi. La diversità espressiva e tematica, a mio parere, è risultata vincente. Il materiale raccolto l’ho trovato di assoluto interesse.

D] Potessi dedicarti un augurio fotografico, cosa ti diresti?

R] Alla Dakar tutti gli anni si tiene un contest fotografico, ma vincono sempre i pochi privilegiati che fotografano dall’elicottero. Ecco, mi piacerebbe vincere con un’immagine da terra.

D] E il viaggio fotografico? Nell’augurio mettiamo anche quello?

R] Certo: l’Africa da nord a sud.

D] La moglie cosa dice?

R] Non è felice per tutte le mie partenze, ma non mi ha mai ostacolato.

D] La porterai nel tuo viaggio fotografico?

R] No, lì bisogna essere da soli.

Grazie a Edoardo per il tempo che ci ha dedicato.



Buona fotografia a tutti

Edoardo Bauer

Fotografo e giornalista, nato a Trento 55 anni fa, fin da piccolo ha coltivato la passione per l'avventura, il deserto e le moto. A 25 anni ha iniziato a trasformare la passione in lavoro ed oggi gira per i deserti di tutto il Mondo al seguito della Parigi-Dakar e degli altri Rally internazionali. I suoi clienti sono tutti i top team delle moto, organizzatori, la Federazione Motociclistica Internazionale, solo per citare i principali. Da trent'anni, inoltre, racconta le gesta dei piloti sul settimanale Motosprint. Africa, Medio Oriente, Sudamerica e Asia sono i teatri dei suoi scatti, pubblicati sulle riviste di tutto il Mondo.

Ha seguito, in veste di giornalista e fotografo, 11 Dakar Rally, 15 Pharaons Rally in Egitto, 8 Abu Dhabi Desert Challenge, 8 Qatar Cross Country Rally, 6 Merzouga Rally in Morocco, 7 Rallye du Maroc, 2 Ruta 40 in Argentina, 5 Atacama Rally in Chile, 14 Rally di Sardegna, 2 Nevada Rally negli USA.

La passione per il deserto e l'avventura lo spingono ogni anno, quando il lavoro lo permette, a viaggiare a bordo della sua Toyota in zone remote e poco accessibili, sempre armato della sua fedele Nikon, per immortalare luoghi e persone del deserto.

Ha organizzato molte spedizioni in Libia, Egitto, Tunisia, Marocco, Namibia, Botswana, Siria, Giordania, Azerbaijan.

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...